Descrizione
Jason W. Moore
Ecologia-mondo e crisi del capitalismo
La fine della natura a buon mercato
Economia ed ecologia vivono la stessa crisi. Analizzando i modi in cui si sono combinati finanza, cibo, lavoro, energia e materie prime, Jason W. Moore mostra come la grande forza del capitalismo sia sempre consistita nella sua capacità di creare “nature” a buon mercato, integrando il lavoro umano e il cambiamento ambientale in modo dinamico ma distruttivo. In dialogo con la critica femminista, marxista e decoloniale, Moore interpreta la civiltà capitalistica come un’ecologia-mondo, una storia in cui si compongono insieme l’accumulazione del capitale, la ricerca del potere territoriale e la co-produzione della natura. Cartografandone le tappe storiche a partire dalla conquista dell’America nel 1492 e dalla cosiddetta accumulazione originaria, Moore individua nel xxi secolo il punto di non ritorno: ossia, la fine della natura a buon mercato. Cibo, energia, materie prime, lavoro costituiscono un tutt’uno sempre meno disponibile a basso costo. Pensare al lavoro-nella-natura invece che al lavoro e alla natura è una chiave per una politica radicale di liberazione: per gli essere umani e per la natura nel suo insieme. In questa prospettiva, le trasformazioni dell’uno e dell’altra sono dialetticamente connesse nella medesima rete della vita, nella loro svalutazione in atto, così come nella loro possibile sottrazione alle pratiche di appropriazione e di sfruttamento.
“Jason W. Moore ci sfida a ripensare completamente l’economia politica del metabolismo della vita sulla Terra e, in modo altrettanto importante, a trasformarlo radicalmente” (Christian Parenti, autore di Tropic of Chaos: Climate Change and the New Geography of Violence).
Con una prefazione inedita dell’autore e una nuova introduzione del curatore
Jason W. Moore, storico dell’ambiente e docente di sociologia presso l’Università di Binghamton negli Stati Uniti, è coordinatore del World-Ecology Research Network. Tra i suoi lavori più recenti: Capitalism in the Web of Life: Ecology and the Accumulation of Capital (Verso, 2015), il nostro Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria (2017) e, con Raj Patel, Una storia del mondo a buon mercato. Guida radicale agli inganni del capitalismo (Feltrinelli, 2018).
Gennaro Avallone è professore associato di sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università degli studi di Salerno.
UN ASSAGGIO
Indice
7 Introduzione. La prospettiva dell’ecologia-mondo e la crisi del capitalismo. Per una critica dell’ecologia necropolitica
di Gennaro Avallone
25 Prefazione. Come la classe dominante governa attraverso la natura
Parte prima. Agricoltura, ecologia-mondo e crisi capitalistiche
45 Fine corsa? Rivoluzioni agricole nell’ecologia-mondo capitalistica. 1450-2010
1. Un quadro teorico; 1.1. Il capitalismo come ecologia-mondo: verso una teoria della crisi; 1.2. Il capitalismo e la centralità del cibo a buon mercato; 2. Il neoliberismo come progetto ecologico: verso una “rivoluzione agricola al contrario”?; 3. In conclusione
75 Cibo a buon mercato e moneta cattiva. Cibo, frontiere e finanziariz- zazione nell’ascesa e crollo del neoliberismo
1. Produttività e saccheggio: finanza, frontiere e fine del surplus ecologico-mon- do; 2. La natura del cibo a buon mercato: il neoliberismo e i “quattro fattori a buon mercato” nell’ecologia-mondo capitalistica; 3. Cibo e finanza nell’ascesa del neoliberismo; 4. Il cibo a buon mercato e la chiusura della grande frontiera: supererbacce e altre barriere per una nuova rivoluzione in agricoltura; 4.1. La rivoluzione biotecnologica e il suo Termidoro: l’effetto supererbacce; 4.2. Cibo e crisi del neoliberismo: verso una nuova età dell’oro?; 5. Conclusioni
Parte seconda. Le nature e la prospettiva dell’ecologia-mondo
109 La fine della natura a buon mercato. Come ho imparato a non preoccuparmi dell’ambiente e ad amare le crisi del capitalismo
1. Introduzione; 2. Il quadro teorico: rapporti di valore nell’ecologia-mondo capitalistica; 3. Natura, limiti e capitale: valore e surplus ecologico-mondo; 4. Dall’appropriazione massima alla caduta tendenziale del surplus ecologico; 5. L’ascesa e la fine della natura a buon mercato: il momento neoliberale; 6. Il capitalismo come frontiera: nature sociali astratte; 7. In conclusione
142 Da Oggetto a Oikeios. La produzione dell’ambiente nell’ecologia- mondo capitalistica
1. L’oikeios: La dialettica nella questione della Natura-come-matrice; 2. Le im- maginazioni dell’ecologia-mondo: verso il capitalismo-nella-natura; 3. La crea- zione-di-ambiente
156 Frattura metabolica o cambiamento metabolico? Dal dualismo alla dialettica nell’ecologia-mondo capitalistica
1. Il capitalismo come modo di organizzare la natura: dall’aritmetica verde alla ragione dialettica; 2. Dal dualismo alla dialettica: dalla frattura metabolica al cambiamento metabolico; 3. La frattura metabolica; 4. Verso un metabolismo unico: geografia, natura e limiti del capitale
179 Bibliografia
Prefazione
Come la classe dominante governa attraverso la natura
Questo non è un libro sulla Natura. È un libro sul capitalismo, sui rapporti umani di potere e ri/produzione, e su come entrambi si sviluppano nella rete della vita. Esso parla di come la disuguaglianza senza precedenti tra gli esseri umani nel capitalismo sia resa possibile ed espressa attraverso un dominio senza precedenti – non dell’Uomo sulla Natura, ma della spinta del capitalismo a trasformare le reti della vita in opportunità di profitto (Amin 1991; Patel e Moore 2018). I testi che compongono questo libro parlano del carattere fondamentale del capitalismo, che non è né un sistema sociale né una logica economica – sebbene contenga questi momenti – ma è un modo di organizzare la vita planetaria. Questo è il nucleo della proposizione secondo cui il capitalismo è un’ecologia-mondo, che unisce dialetticamente l’accumulazione infinita di capitale, la ricerca patologica di potere e la coproduzione prometeica della vita planetaria (Moore 2015a). Da questo filo conduttore, come direbbe Marx, possiamo capire la crisi climatica odierna non come antropogenica (“fatta dall’uomo”), ma come capitalogenica (“fatta dal capitale”) (Moore 2022d). Da questa critica, possiamo iniziare a discernere le reti della vita planetaria e la potenziale solidarietà tra tutti i “lavoratori del mondo”, retribuiti e no, umani ed extra-umani. Solo allora possiamo iniziare a unire le “risorse della speranza” intellettuali necessarie per lanciare una sfida internazionalista alla dittatura biosferica della borghesia mondiale.
Delle illusioni della modernità, nessuna è così potente – e nessuna è più fondamentale per le strutture di credenza della borghesia imperialista – come quella di Uomo e Natura. Di nuovo in maiuscolo: Uomo e Natura. So che questo potrebbe risultare noioso per alcuni, ma permettetemi di sottolineare l’enormità del progetto: stiamo affrontando cinque secoli di naturalismo borghese, l’ideologia del Progetto di civilizzazione che ci dice come il capitalismo (la Cristianità, la Civiltà, lo Sviluppo) sia il modo di produzione più razionale e scientifico mai creato. Quando Ferguson scrive dello Sviluppismo del dopoguerra come di una “macchina antipolitica” – sottolineando la riduzione di complesse questioni politiche a procedure tecniche e manageriali – egli potrebbe benissimo parlare dei progetti imperiali dalle origini del capitalismo (e potrebbe altrettanto bene parlare dell’Antropocene e della sua politica di gestione planetaria) (Ferguson 1990). Certo, gli elementi favoriti di questi Progetti civilizzatori sono cambiati, diventando più secolari e meno esplicitamente eurocentrici, ma l’essenza è rimasta la stessa. Ogni volta che nuovi imperi hanno “scoperto” nuove terre con nuovi popoli che non avevano abbastanza potere militare, il primo atto è sempre stato lo stesso: dichiarare selvaggi i loro abitanti. Non-cristiani, non-civilizzati, non-sviluppati, le nuove popolazioni erano parte della Natura; non Umani, o non del tutto Umani. O non ancora Umani. Selvaggio significava indisciplinato e pigro – una mossa ideologica che giustificava naturalmente il lavoro come la strada per la Salvezza (Alatas 1977). Più volte, la Buona Scienza ha affermato l’ineguaglianza “naturale” tra ricchi e poveri, imperialisti e colonizzati, bianchi e neri, uomo e donna. Dichiarare qualcosa come il risultato della legge naturale – inevitabilmente attraverso la dicotomia ideologica di Uomo e Natura, depurata dei loro antagonismi di classe – è stata l’essenza del naturalismo borghese (McNally 1993). Lungi dall’essere un retaggio del passato, esso è ancora con noi. Quando Larry Summers, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, dice che “le leggi dell’economia funzionano come le leggi dell’ingegneria”, ci sta dando un assaggio del potere basato sul naturalismo borghese.
La nostra sfida, quindi, non è semplicemente ripensare, ma de-pensare [unthink]. Dobbiamo disimparare il concetto borghese secondo cui Uomo e Natura sono descrizioni prive di valore; dobbiamo imparare a vedere che esse sono centrali per il sistema ideologico del capitalismo. La dicotomia Uomo-Natura è il “software” che anima l’“hardware” delle armi, delle piantagioni e delle miniere che hanno reso possibili le lunghe ondate di ecocidio e genocidio del capitalismo e che oggi accelerano la corsa verso l’inferno planetario. Perché questo software funzioni, esso deve convincere i quadri della borghesia – gli intellettuali, gli amministratori, gli scienziati e gli ingegneri, gli ufficiali militari – che il capitalismo è giusto, necessario e razionale. Questo è ciò che Weber intendeva quando si riferiva al “dominio razionale del mondo” da parte dell’Europa.