L’imbroglio ecologico

 20.00

Dario Paccino

pp. 235
Anno 2021 (maggio)
ISBN 9788869481901

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Descrizione

Dario Paccino
L’imbroglio ecologico
L’ideologia della natura
Introduzione di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini, Sirio Paccino

Pubblicato nel 1972 da Einaudi nella prestigiosa collana “Nuovo Politecnico”, L’imbroglio ecologico accoglieva le istanze sociali che dagli anni Sessanta cominciavano a denunciare con forza il nesso tra assetto capitalistico del lavoro, salute, nocività in fabbrica e degrado ambientale. Al centro del lavoro di Paccino vi è la dimostrazione che il rispetto dell’uomo e della natura è strutturalmente incompatibile con il modello di sviluppo capitalistico, con un’economia di mercato che produce a prezzi sempre più bassi beni di consumo sempre meno utili e con una obsolescenza programmaticamente sempre più breve.
Denunciando la contraddizione fra l’apparente e improvviso amore per l’ecologia dei paesi ricchi e industriali, esploso nei primi anni Settanta, e i devastanti inquinamenti, guerre, distruzione delle foreste – inevitabili conseguenze del successo economico dei ricchi e che colpiva e rendeva più poveri i due miliardi di abitanti poveri del pianeta –, Paccino ribadiva con forza che l’ecologia pensata e tradotta politicamente senza aver presenti i rapporti di produzione e di forza sociali, rappresentava ipso facto un imbroglio. È quest’uso ideologico e mistificato della natura che l’autore contesta e problematizza in tutto il suo lavoro teorico e militante, cercando di mettere al centro del dibattito i rapporti di potere ed i meccanismi socio-economici che determinano lo squilibrio, con l’obiettivo di dare vita a una ecologia conflittuale finalizzata a costruire un rapporto equo ed armonico tra gli esseri umani, le organizzazioni sociali e la natura.
Non c’è dubbio che quanto era già chiaro cinquant’anni fa, oggi appaia ancora più drammaticamente evidente, in epoca di pandemie, riscaldamento globale e sfruttamento illimitato delle fonti energetiche.

Dario Paccino (1918-2005), partigiano nella Resistenza, è stato giornalista e saggista oltre che militante del movimento antinuclearista, anche attraverso la direzione delle rivista “Rossovivo”. Tra le sue numerose pubblicazione ricordiamo: Arrivano i nostri (1956); I colonnelli verdi e la fine della storia (1990); L’ombra di Confucio. Uomo e natura in Cina (1976); La guerra chiamata pace (1992); Gli invendibili (1994). È stato responsabile del periodico “Natura e Società”.

RASSEGNA STAMPA

“Le parole e le cose”

Per un’ecologia conflittuale. Note sulla nuova edizione de “L’imbroglio ecologico”, di Dario Paccino
di Giulia Arrighetti

Nel 2019, l’anno delle prime grandi mobilitazioni transnazionali per la giustizia climatica, nonché l’anno dei Gilets Jaunes in Francia, trovai sul comodino di un’amica la prima edizione Einaudi (1972) de L’imbroglio ecologico. L’ideologia della natura, di Dario Paccino. In quei giorni la tematica ecologica, che fino a quel momento avevo incontrato solo nel dibattito accademico e nella riflessione politica tra attivist* impegnati in lotte territoriali, trovava un inedito protagonismo sia nei mass media sia sui social network. Nessuno però parlava di un possibile “imbroglio” in relazione all’ecologia. Per questo il titolo del libro catturò immediatamente la mia attenzione: che cosa significava l’espressione “imbroglio ecologico”? Da quel momento ho cercato diverse volte di recuperare il libro, purtroppo introvabile, per rispondere a queste domande con la lettura.
Sono finalmente riuscita a soddisfare il mio desiderio poche settimane fa, grazie alla nuova edizione del testo pubblicata da Ombre Corte, introdotta da un importante saggio di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini e Sirio Paccino, capace non solo di contestualizzare l’opera nel suo tempo, ma anche di evidenziare come le intuizioni di Paccino siano ancora rilevanti nella contemporaneità.
In questa mia recensione cercherò di chiarire perché, secondo me, le nuove generazioni di ecoligist*, attivist* climatici e militant* dovrebbero leggere questo libro.
Un primo motivo è l’occasione di entrare in contatto con il pensiero di un “ecologo inquieto”, secondo la definizione che Giorgio Nebbia diede di Paccino al momento della sua morte. Rapportarsi all’opera di Paccino permette, infatti, di confrontarsi con la figura di un uomo che ha cercato di coniugare, nel corso della sua esistenza, la ricerca intellettuale con l’azione politica, entrando in aperta contraddizione con chi ricerca l’autoaffermazione nel sapere specialistico senza alcuna tensione rispetto all’agire nella società in cui abita, nel suo tempo come nel nostro. È lo stesso Paccino che nel descriversi afferma: “da questo punto di vista non sono un intellettuale: mi limito a svolgere una funzione, sia pure schizofrenicamente, poiché in me convivono (per quella grande ‘volgarità’ che è il pane) il professionista e il militante. Non sentendomi prigionierio di alcun ruolo” (p. 8) Ex partigiano durante la Resistenza, Paccino è stato militante del movimento antinucleare nonché giornalista e saggista, impegnato in un’opera di divulgazione critica rispetto alla questione ecologica finalizzata al superamento dello iato tra sapere esperto e senso comune. Come scrisse infatti Valerio Giacomini, il ruolo di Paccino come intellettuale/divulgatore può essere visto come quello di “un terzo uomo che si incarica di creare una comunicazione fra il produttore specialistico di scienza e di tecnica (‘primo uomo’) e qualsiasi altro uomo (‘secondo uomo’) che manifesti ben legittime esigenze di informazione e conoscenza […] quando si tratta di questioni che riguardano interessi fondamentali della sua stessa esistenza e sopravvivenza” (p.8), come quelle ecologiche.
Entrare in relazione con il lavoro di Paccino può quindi essere di stimolo per chi si sente un “ecologo inquiet*” a sua volta: c’è un enorme bisogno di “terze persone” – liberandoci dal binarismo di genere – capaci non solo di divulgare il sapere specialistico, ma di metterlo in discussione e in relazione con i saperi situati (per usare l’espressione di Donna Haraway) e subalterni in merito ai conflitti ambientali.
Un secondo motivo è l’opportunità di confrontarsi con un’argomentazione radicale che guida il lettore – attraverso l’analisi dei rapporti socio-ecologici, di produzione e di potere all’interno dell’organizzazione capitalistica – alle radici delle cause strutturali che non solo hanno prodotto, ma riproducono continuamente la crisi ecologica.
L’obiettivo dichiarato è infatti quello di presentare un’importante critica all’ambientalismo istituzionale e all’uso capitalistico della natura, mostrando quanto il nesso capitale-natura sia fondamentale per i processi di accumulazione capitalistica, così come per le prospettive di lotta di classe.
Infatti, già nell’“Avvertenza” Paccino dichiara:
“Assunto dell’opera, la proposta di mettere l’ecologia con i piedi sulla terra, la terra di tutti gli uomini, e perciò anche delle loro verità ed ideologie: il sistema dei rapporti di produzione. E ciò in polemica sia con quegli ecologi che si librano al di sopra delle parti, sia con quei materialisti storici che accolgono la riduzione idealistica della storia naturale e della storia umana.”
Rimettere l’ecologia con i piedi sulla terra significa per Paccino denunciare ed illustrare l’“imbroglio” attraverso cui si realizza l’interesse del capitalismo, a lui contemporaneo, per l’ecologia.
Le classi dominanti non salgono “sul palcoscenico ecologico” perché realmente interessate alla sopravvivenza della totalità degli esseri umani e non umani, ma unicamente per proteggere loro stesse e i loro profitti dalle minacce della crisi ecologica, che loro stesse hanno generato.
“Gli effetti mutageni delle radiazioni nucleari non sono trattenuti nelle mura d’acciaio del palazzo d’inverno, anche nei giardini del palazzo cadono le scorie avvelenate dell’attività industriale. […] Ma lui stesso [il padrone], o suo figlio (andato a studiare in Usa), sa che gli sconquassi portati al metabolismo della biosfera, quelli visibili, e forse ancor più quelli che non si vedono a occhio nudo, sono talmente gravi e generalizzati che non c’è arca di Noè che possa mettere qualcuno al riparo dalle conseguenze”. (pp. 80-81)
Il padrone quindi “si è accorto dell’ecologia […] quando le conseguenze dei costi ambientali hanno incominciato a minacciarlo direttamente, nello stesso tempo che gli hanno fatto intravedere nuove possibilità di guadagno con l’industria ecologica.” (p. 50)
L’“imbroglio ecologico” si configura dunque nell’elaborazione di un “ideologia ecologica” capace non solo di nascondere le reali responsabilità politiche del padrone nella degradazione della biosfera – assolvendolo – ma anche di orientare le politiche ecologiche (ciò che oggi sarebbe definita transizione) in modo che i costi ambientali e sociali siano scaricati unicamente sulle classi subalterne. Grazie alla suddetta “ideologia ecologica” il capitalismo è capace di giustificare le opportunità di guadagno e speculazione che la crisi ecologica gli offre, per esempio attraverso la riconversione in chiave falsamente ecologica dell’apparato produttivo – “l’industria ecologica” – o tramite i processi di finanziarizzazione della natura.

“…ideologia ecologica […], oltre ad essere caratteristica falsa coscienza, è anche il tentativo di impostare il problema in modo da far pagare lo scotto ai danneggiati, e guadagnarci”. (p. 56)
Paccino giustifica queste sue tesi proponendo una serie di esempi legati a tematiche di forte rilevanza nella nostra contemporaneità: la questione decoloniale, il ricatto salute-lavoro, la prevenzione come tema di salute pubblica – soprattutto in relazione all’uso di prodotti cancerogeni nella produzione di cibo – le politiche miopi sia sul fronte dell’organizzazione dei trasporti sia dell’urbanistica.
Ritengo, quindi, che gli strumenti interpretativi proposti da Paccino cinquant’anni fa possano essere utili per comprendere i reali interessi economici e di potere che stanno dietro agli attuali programmi di transizione ecologica promossi dalla politica statale oltre che dall’iniziativa privata, nonché suffragati da gran parte della scienza ufficiale. Le parole di Paccino ci insegnano a essere vigil* e a mettere a critica le forme in cui “l’ideologia ecologica” promossa dalle odierne classi dominanti oggi impedisce che si trovi una soluzione reale all’eco-catastrofe a cui ci hanno condannat*.
Un esempio fra tutti è la proposta di poche settimane fa del ministro per la transizione ecologica Cingolani di ripensare il ruolo dell’energia nucleare nel nostro paese in quanto energia sostenibile. Non siamo forse davanti a un “imbroglio ecologico” 4.0?
Un terzo e ultimo motivo che rende questo testo meritevole di essere letto riguarda la proposta politica espressa da Paccino: lavorare alla costruzione di un’ecologia conflittuale capace, proprio grazie all’esercizio dell’antagonismo sociale, non solo di invalidare “l’ideologia ecologica” del padrone, ma anche di impostare un’inedita lotta rivoluzionaria anticapitalista per l’ambiente proprio a partire dallo smascheramento dell’imbroglio ecologico vigente.
“C’è un criterio infallibile per distinguere l’ideologia ecologica dalla lotta rivoluzionaria per l’ambiente, ed è la conflittualità.” (p. 199)
Secondo Paccino l’agire per un’“ecologia conflittuale” non può essere rimandato a un momento successivo alla “presa del palazzo d’inverno”, e quindi al momento di emarginazione del padrone capitalista, ma si deve dare nel presente data l’urgenza immanente di contrastare la politica predatoria delle classi dominanti responsabili della catastrofe ecologica.
“Certo, non è con l’ecologia conflittuale che si arriva, finchè c’è un padrone, alla fabbrica a misura d’uomo. Ma si otterrebbe almeno il risultato di spuntar un’arma ideologica, mostrando chi sia il vero responsabile della quotidiana strage ecologica. E si contribuirebbe a rimettere la filosofia marxista sulle sue gambe, ponendo come prius di tutto (anche dell’essere sociale, e non solo come antefatto dato una volta per tutte) l’essere naturale.” (Ibid)
Paccino, quindi, arriva a scontrarsi direttamente con il posizionamento della sinistra italiana del suo tempo in merito alla questione ecologica, compresa la sua espressione statuale che si richiama al comunismo in Unione Sovietica e quella filosofico-politica che si richiama al marxismo ufficiale. L’accusa è quella guardare alla questione ecologica a partire da un indebito e problematico idealismo: considerando la storia umana come indipendente da quella naturale/biologica, il marxismo ufficiale abbandona la sua vocazione materialista divenendo incapace di cogliere la realtà della relazione strutturale tra lo sfruttamento della forza lavoro e quello della biosfera, nonché l’urgenza di contrastarne gli effetti più nefasti.
“La stessa impostazione della consequenzialità meccanica dei problemi ecologici dal ribaltamento del sistema e perciò il loro rinvio a rivoluzione avvenuta, può ben dirsi derivata dal ‘giocar fuori casa’, che solo chi sia stato contaminato da idealismo può credere, in una società come la nostra, all’inevitabilità (sia pure garantita dalla lotta, anziché da pacifica evoluzione) delle magnifiche sorti progressive, e non avvertire perciò l’urgenza dell’attacco del padrone, oltre che sul terreno dello sfruttamento, anche su quello del suo planetario “biocidio ed ecocidio”, che potrebbe cancellare la vita sulla terra ben prima dell’avvento della rivoluzione mondiale.” (p. 201)
Secondo l’autore, dunque, nell’“ecologia conflittuale” la lotta contro lo sfruttamento delle classi lavoratrici deve coniugarsi con quella contro lo sfruttamento dell’ambiente.
“Non solo dunque lotta per liberare l’uomo dallo sfruttamento, ma anche per liberarlo dalla vendetta della natura nel senso di impedire che il padrone continui a metterla in condizione di doversi vendicare.” (p. 205)
Ritengo quindi che questa lezione di Paccino debba essere recuperata dalla nostra generazione: è necessario provare a esercitare una nuova “ecologia conflittuale” nel nostro presente, che si ponga in aperta critica con le istituzioni e con la politica partitica che si prefiggono la “gestione” della crisi climatica, rimanendo scettici davanti alle opzioni riformiste proposte. Per questo è importante mobilitarsi accanto ai movimenti transnazionali (FFF, XR, ecc.) e con le lotte territoriali che attraversano i nostri territori. Un primo appuntamento importante per questo è la mobilitazione contro la pre-COP 26, cioè l’incontro preparatorio alla ventiseiesima Conferenza delle Parti che si terrà a Milano nel primo weekend di ottobre. Operare una critica dei processi di governance climatica tenendo le gambe ben salde nelle piazze: il modo migliore per dare nuova vita al grande libro di Dario Paccino.


 

“il manifesto” – 26.5.2021

Dario Paccino, la natura inquieta e il suo profitto
di Marc Tibaldi

TEMPI PRESENTI. Dopo cinquant’anni ritorna in libreria da domani per ombre corte il volume «L’imbroglio ecologico», scritto dal giornalista e militante marxista. C’è una rinnovata attenzione verso la questione ambientale, da Jason W. Moore a Razmig Keucheyan

Dagli anni ‘60 in poi, troppo lenta è stata la presa di coscienza delle sinistre sull’importanza della questione ecologica. Ancora oggi molti nascondono la propria cecità sul problema dietro al nuovo mito consumistico della green economy. Eppure pensatori e piccole avanguardie hanno sempre gridato forte la necessità di una visione complessa che mettesse in primo piano i limiti della dissipazione delle risorse terrestri. Uno dei primi e più efficaci ecologisti è stato Dario Paccino (1918-2005), di cui ora viene ripubblicata quella che è considerata la sua opera più significativa, si tratta di L’imbroglio ecologico. L’ideologia della natura (Ombre corte, pagg. 235, 2021, € 20.00). Mezzo secolo è passato dalla prima edizione, 1972, di Einaudi. La nuova edizione viene introdotta da uno splendido saggio di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini e Sirio Paccino, che contestualizzano il testo nel suo periodo storico, ne individuano le geniali intuizioni, e ripercorrono l’originale sentiero di ricerca dell’autore. Partigiano, giornalista, divulgatore scientifico, militante marxista dell’area dell’estrema sinistra e del movimento del ‘77, fondò con Valerio Giacomini l’associazione Pronatura e la rivista Natura e società; assieme a Mario Lodi curò un sussidiario scientifico per le scuole medie; e pubblicò decine di altri libri significativi, tra cui: La Trappola della scienza. Tutti vivi ad Harrisburg (che fu un testo-chiave del movimento contro le centrali nucleari di fine anni ‘70 inizio ‘80), Diario di un Provocatore, I Colonnelli Verdi, e anche di un originale Manuale di Autodifesa Linguistica, senza dimenticare la direzione di Rossovivo, rivista di critica marxista all’ecologia dominante (1979-1986). Attenzione, per fugare ogni dubbio, l’imbroglio di cui si parla nel titolo del libro e la critica all’ecologia dominante, “non si riferiscono al fatto che la crisi ecologica sarebbe sovradimensionata o addirittura, inventata, ma al fatto che essa viene affrontata attraverso un inganno, che consiste nell’evitare di andare alla radice della cause strutturali che l’hanno prodotta e la riproducono”. “L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio” sosteneva Chico Mendes, Paccino ci dice che è anche peggio: “l’ecologia, praticata, sostenuta e divulgata senza tenere presenti i rapporti sociali di produzione e di forza, si trasforma in un’ideologia che copre e fa scomparire sia lo sfruttamento del lavoro sia i processi di messa a profitto della natura”.
Marginalizzato dalla cerchia degli intellettuali, continuò a tenere un contatto dialettico con ambientalisti riformisti, come Giorgio Nebbia, che nel 2018 sul Manifesto ricordò la rilevanza del pensiero di Paccino con un articolo dal titolo Un ecologo inquieto. È negli anni ‘70, che “il ricercatore scomodo lascia il passo alla figura che cambierà radicalmente l’orizzonte critico dell’ecologia. Intercetta ed elabora le minacce della trasformazioni dell’assetto socio-economico in atta e mette in relazione sinergica esperienze diverse, nel comune intento di tutelare salute e dignità: dalle lotte operaie di Porto Marghera contro la nocività in fabbrica a Medicina Democratica, dalle rivendicazioni per il diritto alla salute alla rivoluzionaria legge Basaglia”.
Nel 1976, il marxista epicureo Jean Fallot pubblica, per la Bertani editore, Sfruttamento inquinamento guerra. Scienza di classe, in cui il filosofo analizza il dominio capitalista nelle sue articolazioni: “L’inquinamento è la conseguenza storicamente determinata più rilevante del sistema di dominio e dello sfruttamento”. Nell’introduzione a questo libro, Paccino rileva che per Fallot la rivoluzione è condizione necessaria ma non sufficiente per salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica, e aggiunge “certo comunque che se sussiste una possibilità di sopravvivenza, di integrazione della società con la natura, di solidarietà umana, essa è legata alla rivoluzione”. Tre anni più tardi in un articolo pubblicato su A rivista anarchica, Paccino, sulla scia delle riflessioni di Gunther Anders, scrive: “la scienza e la tecnologia, che stanno a fondamento dell’attuale mondo produttivo, non sono divinità che l’uomo a rintracciato girovagando nei giardini del sapere. Si tratta di modelli che il dominio in generale , e il capitalismo in particolare, hanno prescelto in funzione del controllo e del profitto”.
Merita un elogio la casa editrice Ombre corte, non solo per aver ripubblicato uno testo fondamentale della cultura ecologista, ma anche perché lo ha inserito nell’ambito di un’attenzione editoriale per autori che continuano a riflettere sulle questioni ecologiche e ambientali, come Jason W. Moore, Dipesh Chakrabarty, Eduardo Viveiros de Castro, James O’Connor, Razmig Keucheyan. L’imbroglio ecologico rivive e si rivitalizza contestualizzato tra questi autori. Antropocene, capitalocene, Chthulucene… ambiente-estinzione-ribellione… le strategie sono da inventare, ma la lettura di Dario Paccino ci dà solide basi su cui costruire un “ecologismo conflittuale” e necessario.

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UN ASSAGGIO

Indice

7 Prefazione. L’imbroglio ecologico: alle origini dell’ecologia politica in Italia
di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini, Sirio Paccino
23 Avvertenza
25 Capitolo primo. La storia naturale
44 Capitolo secondo. I momenti storici dell’ecologia
65 Capitolo terzo. L’ideologia ecologica
114 Capitolo quarto. Il modello americano
158 Capitolo quinto. Necessità ed ecologia
191 Capitolo sesto. Ideologia e rivoluzione


 

Prefazione

Limbroglio ecologico: alle origini dell’ecologia politica in Italia
di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini, Sirio Paccino

Le lettrici e i lettori di questo libro, pubblicato in una nuova edizione a circa cinquant’anni di distanza dalla prima, si ritrovano tra le mani “lo ‘scritto’ di un povero untorello, che si permette di ficcare il naso nel sancta sanctorum dell’ecologia, per accertarsi se per caso non abbia trovato rifugio proprio lì il vecchio dio dei padroni”.
È con questi termini che l’autore si definì in una lettera alla rivista “Ecologia”, inviata nello stesso 1972. Già da queste parole è chiaro il tumulto che Paccino sollevò con questo suo libro, e in generale con i suoi scritti, nell’ambiente culturale e scientifico italiano dell’epoca. Cercare e studiare i suoi lavori pubblicati tra gli anni Cinquanta e Novanta del secolo scorso scatena un’intensa tempesta intellettuale, emotiva e umana. Sono molte le testimonianze che ricordano la ricchezza della sua produzione culturale e politica, così come molte sono le collaborazioni dello stesso Paccino, che non si è mai risparmiato nell’analisi dei rapporti socioecologici, di produzione e di potere all’interno dell’organizzazione capitalistica.
Giorgio Nebbia, tra i principali studiosi in Italia di temi ambientali, ad esempio, lo ha definito un ecologo inquieto, “un anticipatore di problemi che sarebbero esplosi molti anni dopo e che avrebbero preso il nome di ‘ecologia’, di attenzione, cioè, ai rapporti fra gli esseri umani e il mondo circostante”. Anticipazioni come quelle presenti in Domani il diluvio, pubblicato nel 1970 con una presentazione del docente e studioso di botanica ed ecologia Valerio Giacomini, relative alle alterazioni ambientali che avrebbero potuto trasformare ogni pioggia abbondante in un diluvio. Nella presentazione di quel testo, Giacomini scrisse di Paccino come di un “terzo uomo”, colui che “si incarica di creare una comunicazione fra il produttore specialistico di scienza e di tecnica (‘primo uomo’) e qualsiasi altro uomo (‘secondo uomo’) che manifesti ben legittime esigenze di informazione e di conoscenza. Ha tanto più diritto – il secondo uomo – a questa informazione quando si tratta di questioni che riguardano interessi fondamentali della sua stessa esistenza e sopravvivenza”.
Questa capacità di lettura e comunicazione è stata accompagnata da una serie di visioni che hanno precorso i tempi sul piano sia degli eventi storici che della proposta teorica. Peppe Sini, direttore responsabile del Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo, ad esempio, lo ha apertamente riconosciuto: Paccino “fu tra i primi a farci conoscere le nuove lotte degli indiani d’America, […] fu tra i primi a svolgere un discorso ecologico non ingenuo e non subalterno, fu tra coloro che sulla scienza e le tecnologie seppero dire cose vere e decisive. Nella lotta antinucleare fu un compagno prezioso e generoso; e nell’opposizione alla guerra, ai suoi strumenti, ai suoi apparati, alle logiche e ideologie sue”. […]

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