Ultimi bagliori del Moderno

 20.00

Franco Berardi Bifo

pp. 246
Anno 2023 (marzo)
ISBN 9788869482540

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Descrizione

Franco Berardi Bifo
Ultimi bagliori del Moderno
Lavoro, tecnica e movimento nel laboratorio di Potere operaio

Il libro che avete tra le mani – qui riproposto a distanza di anni con una nuova introduzione dell’autore – non parla di un passato da archiviare, da ricordare o da ricostruire. Parla del mondo che ha preso forma negli anni del passaggio di millennio.
Partendo dalle teorie e dalle pratiche del movimento italiano di autonomia operaia, questo libro riafferma l’attualità del metodo conoscitivo di un gruppo di intellettuali attivisti chiamato Potere operaio che fiorì per pochi anni, mentre il Moderno andava esaurendo le sue energie senza esprimere a pieno le sue potenzialità.
Quell’esperienza teorica e militante illumina il punto di congiunzione tra due dinamiche: la dinamica di esaurimento della società moderna, della regola industriale, del lavoro salariato territorializzato, e la dinamica di formazione del caleidoscopio dell’attività digitalizzata connessa in rete, di formazione del cognitariato globale, tecnicamente connesso, altamente informato, ma incapace di solidarietà politica.
“Se negli anni Sessanta il mondo occidentale vive il pieno dispiegamento della sua modernità, gli anni Settanta sono un decennio-cerniera, nel quale la modernità sperimenta i suoi limiti e inizia a scoprirsi incapace di mantenere le sue promesse. L’antagonismo dinamico tra capitalismo e classe operaia ha prodotto le condizioni di un enorme arricchimento, di un enorme potenziamento della capacità produttiva sociale. Ma nella forma moderna della ricchezza è implicita la miseria come condizione costante di stimolo e di insoddisfazione, di competizione e violenza”.

Franco Berardi Bifo (Bologna, 1949), filosofo, è stato fondatore e animatore della rivista “A/traverso” e di “Radio Alic”. Autore di numerosi saggi sulle trasformazioni del lavoro e sui processi comunicativi, tradotti in più lingue. Per i nostri tipi ricordiamo: Dell’innocenza. 1977 l’anno della premonizone (2002); Come si cura il nazi. Iperliberismo e ossessione identitarie (2009), La nonna di Schäuble. Come il colonialismo finanziario ha distrutto il progetto europeo (2015) e Scrittura e movimento (2022).

Rassegna stampa

“il manifesto” – 7 aprile 2023

L’inquieto laboratorio di Potere operaio
di Girolamo De Michele
SCAFFALE. «Ultimi bagliori del Moderno» di Bifo, per ombre corte. La riedizione di un testo di 25 anni fa che la distanza temporale rende molto diverso

L’ultima pubblicazione di Bifo, Ultimi bagliori del Moderno. Lavoro, tecnica e movimento nel laboratorio di Potere Operaio (ombre corte, pp. 246, euro 20) è la riedizione, 25 anni dopo, del libro dedicato a Potere Operaio. Una riedizione che provoca una sorta di «effetto Pierre Menard»: come il critico letterario inventato da Borges che riscrive parola per parola parti del Don Chisciotte, Bifo ripubblica (al netto di due variazioni) un libro che la distanza cronologica rende molto diverso, pur essendo identiche le parole di cui è composto.
IL LIBRO PARTECIPAVA a un dibattito molto vivace sull’ampiezza della trasformazione sociale e antropologica causata dalla progressiva affermazione dei processi informatici nella produzione e circolazione delle merci e della comunicazione; e alle soglie di un ciclo espansivo di lotte che si distese da Seattle e Genova fino all’elezione di Trump. Il titolo era tratto da un articolo di Giorgio Bocca, che nel marzo 1979 definì «nefasta utopia» quella che non era né nefasta, né un’utopia: una definizione che pochi giorni dopo l’impianto accusatorio del bliz contro quella parte dell’Autonomia erede di Po avrebbe risemantizzato come dottrina criminale. Lo stesso Bocca avrebbe poi assunto posizioni garantiste, fondandole sull’affermazione che Po era un «gruppuscolo effimero e pasticcione», e i suoi dirigenti «professori grafomani, attivisti e casinisti».
Ed è in realtà contro questo peloso innocentismo che Bifo polemizzava, mostrando come, pur nelle sue contraddizioni, Po agì da catalizzatore di una fitta trama di esperienze filosofiche, politiche, esistenziali. Nell’introdurre il testo, Bifo scriveva che questo non è un libro di storia, e auspicava che qualcuno si facesse carico di una ricerca storica. Perché nel 1998 il lettore che avesse voluto ricostruire il lungo Sessantotto italiano aveva ben poco a disposizione: L’orda d’oro di Moroni e Balestrini, e la silloge Settantasette. La rivoluzione che viene.
ORA IL PANORAMA è del tutto diverso: sono oggi a disposizione ricostruzioni storiche, saggi, biografie, raccolte di documenti non solo di/su Po, ma sull’intera area della sovversione cui Po partecipava (con un deprecabile codazzo di gatekeapeer e autoproclamati custodi della memoria). Sullo sfondo di questi materiali vivi, il libro di Bifo può oggi essere considerato una ricostruzione storica che, afferrando uno dei possibili fili interpretativi, ricostruisce la genesi creativa di un sapere politico a partire da alcuni «enzimi utili per lavorare chimicamente il corpo sociale, disgregandolo e ricomponendolo, e reinventandolo». Una storia che si dipana dal background filosofico degli anni Sessanta, attraverso il 77, fino alle soglie del terzo millennio.
Quel che muove la scrittura di Bifo è la comprensione del processo storico come «intersecarsi, sovrapporsi, districarsi, comporsi, separarsi di flussi», senza «soggetti centrali portatori di volontà univoche»: la storia non ha un télos. Un metodo «composizionista» che nel 1998 funzionava, al netto della forse troppo insistita polemica contro l’opzione organizzativa «leninista» che contraddiceva le intuizioni illuminanti e l’anticipata comprensione della dottrina neoliberale come dottrina dell’impresa alla base dell’intero ciclo della produzione sociale.
BIFO SI CHIEDEVA nel 1998, e ne faceva oggetto di una conclusione aperta, cosa di questa storia fluida potesse servire non per rifondare, ma per «scoprire quali sono le possibilità di liberazione che si aprono». Queste «Varie conclusioni», nella riedizione del 2023, non ci sono. C’è una nuova introduzione che dalla sconfitta del proletariato cognitivo globale trae la conclusione che «il moderno si è concluso senza liberare la potenza produttiva dell’intelletto generale dalla forma distruttiva dell’astrazione capitalistica». Siamo entrati, secondo questo Bifo, nell’epoca della guerra civile globale, «senza universalismo e senza speranza»; come nel romanzo di Conrad, l’umanità entra nel cuore di tenebra della fine della storia: una notte nella quale tutte le lotte appaiono nere, dunque impercepibili.
Ma in questo modo non si reintroduce quel teleologismo che operaismo, composizionismo e post-strutturalismo avevano scacciato? La storia non diventa un percorso nel quale, alla fine, si realizza un disegno conclusivo? Starà dunque al lettore militante applicare a Bifo il metodo composizionista, far proprie le intuizioni che possono illuminare le tenebre del presente, e giocare, nelle lotte, Bifo contro e oltre lo stesso Bifo.

UN ASSAGGIO

Indice

7 Introduzione alla nuova edizione (2023)

Estrema modernità, culmine, esaurimento; Classe operaia e cognitariato; Nazional-operaismo; Chi strangola chi

15 Introduzione (1998)

Che cos’è questo libro e perché lo scrivo; Sul metodo composizionista

Parte prima. Dal punto di vista dell’estraneità

29 I. Il panorama filosofico degli anni Sessata

Operai e studenti uniti nella lotta; Soggetto, comunismo, lavoro alienato nel Marx del ’44; L’alienazione tra storia e ontologia; Salario, consumismo, integrazione operaia: Tronti e Marcuse; Lo strutturalismo e Leggere Il Capitale; General intellect e totalità concreta nei Grundrisse; La fenomenologia e il problema della temporalità

64 II. Il campo problematico delle riviste operaiste degli anni Sessanta

Storicismo idealista e riformismo subalterno; Composizione e organizzazione in Panzieri; La rivoluzione copernicana di Tronti; Permanere del modello leninista; Manca l’organizzazione di classe?; “Contropiano”: il compito del partito tra rottura e mediazione

Parte seconda. Ultimi bagliori di Novecento

97 I. Il biennio del movimento operai-studenti

“La nefasta utopia”; Popolo, sottoproletari e operai; La specificità della posizione operaista nella proliferazione movimentista che prepara il Sessantotto; Il sessantotto studentesco: proletarizzazione e unità; La lotta continua alla Fiat da marzo a corso Traiano; Potere operaio nell’autunno caldo; Cominciamo a dire Lenin; Ironia e prometeismo

137 II. Comunismo tra spontaneità e organizzazione

Crisi dello Stato-piano e divenire eterogeneo della società; Crisi dello Stato-piano volontarismo e ristrutturazione; La fase politicista di Potere operaio; Marzo ’73 a Mirafiori; Dopo lo scioglimento del gruppo; Comunismo è il movimento reale; Il composizionismo come metodo molecolare

169 Intermezzo su scrittura e movimento

Parte terza. Tracce di futuro nella metropoli

181 I. Nell’agonia della modernità

“La nefasta utopia” è il tardo-liberismo; Il lavoro mentale dissociato; Semiosi ed economia; Globalizzazione e particolarismo; L’esperienza metropolitana; L’ossessione identitaria. Il fascismo

209 II. Tecnologia e sapere nell’universo dell’indeterminazione

Il leninismo non è adeguato alle metropoli; Tecnologia e pensiero unidimensionale; Il lavoro, l’azione, il pensiero. Esodo e rete; Lavoro cognitivo e infoproduzione

227 III. High-tech proletariat

L’evoluzione recente del pensiero di Negri; Il ciclo del lavoro ad alta tecnologia; Oltre la sfera del tempo quantificabile; Cibertempo e espansione del capitalismo; Orizzonti della mutazione

239 Bibliografia


Introduzione alla nuova edizione (2023)

La prima edizione di questo libro uscì nel 1996 col titolo La nefasta utopia di Potere operaio. Mi è parso opportuno cambiare il titolo perché se ripenso agli anni Settanta, vedo i bagliori di un’epoca che volge al termine, mentre il titolo la cui ironia poteva essere ancora comprensibile venticinque anni fa, oggi rischia di essere fuorviante.
Quell’utopia, che ironicamente definivo “nefasta”, non era affatto un’utopia. L’alleanza strategica tra rifiuto del lavoro salariato e intelligenza tecnico-scientifica è il cuore del progetto di Potere operaio, che si concretizza come sabotaggio del comando capitalistico e nella riduzione del tempo di lavoro. Ridurre il tempo di subordinazione al lavoro è l’obiettivo ma anche la pratica quotidiana che si esprime nel quotidiano rifiuto del lavoro. Sostituire il lavoro umano con i prodotti del sapere tecnico è l’orizzonte strategico in cui si svolge la breve parabola di Potere operaio.
Anche se non si è realizzato, quel progetto non era affatto utopico.
Negli anni Sessata e Settanta, quando quel progetto prese forma nel pieno delle lotte operaie e studentesche, il rifiuto del lavoro, e la tendenziale abolizione del lavoro salariato emergevano come prospettive possibili a partire dalla convergenza tra lotte operaie autonome e autonomia del sapere collettivo che nel ’68 aveva trovato un soggetto politico di massa: gli studenti.
Ben al di là di quel che potevamo capire allora, il progetto di abolizione del lavoro salariato significava realisticamente ridurre la devastazione del pianeta e la devastazione della mente collettiva, puntando a un’applicazione razionalmente governata della tecnologia e partendo dalla frugalità dei consumi, dalla rivalutazione del valore d’uso contro il dominio del valore di scambio. Quel progetto era realistico se si considerano le potenze del sapere e della società, ma il suo pieno sviluppo richiedeva l’emancipazione dell’attività produttiva dal paradigma della crescita, e l’instaurazione di un modello egualitario e frugale in aperto conflitto col modello capitalista e col paradigma dell’espansione infinita, profondamente radicato nella cultura moderna.
Grazie all’intensificazione della produttività, all’espansione del sapere tecnico e alla sua applicazione, erano maturate le condizioni di quel passaggio di cui Marx parla nel Frammento sulle macchine: riduzione del lavoro al minimo indispensabile, liberazione delle energie della società dal vincolo del salario. Ma perché quella possibilità potesse dispiegarsi era necessario rompere il dominio del capitale, cioè il dominio di un modello votato alla crescita illimitata, all’illimitato sfruttamento delle risorse fisiche e mentali.
Per ragioni culturali e politiche la soggettività sociale non è riuscita a portare a compimento quella possibilità, questo è un fatto. Ma quella possibilità era e rimane nella potenza del sapere e della tecnica e attende di trasformarsi in processo organizzato consapevole di fuoriuscita dal regime dello sfruttamento. L’alternativa all’attualizzarsi di quella possibilità è il mondo in cui viviamo: caos della catastrofe climatica, del collasso nervoso e della guerra, oppure totalitarismo dell’automa cognitivo. O forse tutti e due, l’automa e il caos, in un abbraccio mortifero. […]

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