Segni e macchine

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Maurizio Lazzatato

pp. 189
Anno 2019
ISBN 9788869480881

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Descrizione

Maurizio Lazzarato
Segni e macchine
Il capitalismo e la produzione di soggettività
Traduzione di Gianfranco Morosato

“Il capitale è un operatore semiotico”: questa affermazione di Félix Guattari è al centro del lavoro di Lazzarato che, chiedendoci di abbandonare il logocentrismo che informa ancora tante teorie critiche, cerca di costruire una nuova teoria in grado di spiegare come funzionano i segni (e non soltanto il linguaggio) nell’economia, negli apparati di potere e nella produzione di soggettività. Superando il dualismo di significante e significato, Segni e macchine mostra come i segni fungano da “operatori” che entrano direttamente nei flussi materiali e nel funzionamento delle macchine. Il denaro, le quotazioni di borsa, i differenziali di prezzo, gli algoritmi, le equazioni e le formule scientifiche costituiscono “motori” semiotici che fanno funzionare le macchine sociali e tecniche del capitalismo, scavalcando la rappresentazione e la coscienza e producendo soggetti e servitù macchiniche. Mostrando come la semiotica di Deleuze e Guattari sia più efficace delle teorie politiche in cui il linguaggio gioca un ruolo fondamentale (Jacques Rancière, Antonio Negri e Michael Hardt, Paolo Virno e Judith Butler) per rendere conto del funzionamento del capitale contemporaneo, Lazzarato si chiede: quali sono le condizioni per una rottura politica ed esistenziale in un’epoca in cui la produzione di soggettività non dipende esclusivamente o principalmente dal linguaggio? Quali sono gli strumenti necessari per neutralizzare la produzione industriale di soggettività? Quali tipi di organizzazione dobbiamo costruire per un processo di soggettivazione che ci consenta di sfuggire alla presa della sottomissione sociale e della schiavitù macchinica? Nell’affrontare queste domande, Segni e macchine assume un compito che oggi appare sempre più urgente e inderogabile.

Maurizio Lazzatato, sociologo e filosofo, vive e lavora a Parigi, dove svolge attività di ricerca sulle trasformazioni del lavoro e le nuove forme dei movimenti sociali. Tra i suoi lavori: La fabbrica dell’uomo indebitato (DeriveApprodi, 2012), Il governo dell’uomo indebitato (DeriveApprodi, 2016) e, per i nostri tipi, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività (1997) e Il governo delle disuguaglianze (2013).

Rassegna stampa

“IL MANIFESTO” – 11.6.2019

Ingranaggi oliati dell’oppressione
di Bendetto Vecchi

Tempi presenti. Un percorso di letture per riflettere sugli effetti perversi della cosiddetta «crisi», attraverso i libri «Segni e macchine» di Maurizo Lazzarato e «Capitalismo immateriale» di Stefano Quintarelli

Una riflessione che si inerpica su sentieri impervi per poi lasciarsi andare alla corsa su discese pericolose. L’oggetto da studiare e analizzare è il capitalismo. Le salite faticose riguardano l’assoggettamento sociale (cioè le forme di governo della vita); le discese hanno invece a che fare con l’asservimento macchinico, cioè ai dispositivi sociali e tecnici che definiscono i rapporti sociali esistenti. Chi si inoltra su questo percorso è Maurizio Lazzarato in Segni e macchine (ombre corte, pp. 167, euro 17), scritto dieci anni fa, ma che rivela ancora, nonostante il tempo trascorso, la capacità di mettere a fuoco le invarianti del capitalismo quando è in crisi, che l’autore qualifica come il ripresentarsi sulla scena politica del fascismo e dello Stato nazionale.
C’è una consonante intenzionalità politica con un altro saggio da poco nelle librerie firmato da Stefano Quintarelli per Bollati Boringhieri (Capitalismo immateriale, pp. 198, euro 16). L’intenzionalità politica che li avvicina è quella di denunciare l’illibertà che caratterizza il capitalismo contemporaneo. Ma diverse sono le metodologie, le premesse da cui muovono i due autori. E differenti sono anche gli esiti. Un auspicabile continuum conflitto sociale e governo riformista di Quintarelli; un conflitto radicale e incompatibile con il capitalismo per Lazzarato.
Per Quintarelli la produzione della ricchezza incardinata nelle macchine informatiche costituisce inoltre una evoluzione e generalizzazione di alcune tendenze già presenti nella società industriale (just in time, produzione snella e credito al consumo): una griglia analitica che non sempre aiuta a comprendere come funzionano, per tornare al lessico del libro di Lazzarato, l’assoggettamento sociale e l’asservimento macchinico, cioè il capitalismo nella sua totalità.
CON ORDINE, occorre introdurre delle premesse indispensabili per restituire il contesto dove nasce questo saggio di Lazzarato. Lo scenario è quello della crisi che colpiva, e colpisce, seppur in maniera differente le società nel nord e nel Sud del pianeta. Prendeva così avvio una riflessione che poi troverà agio di svolgimento in due importanti saggi: La fabbrica dell’uomo indebitato e Il governo dell’uomo indebitato, entrambi pubblicati da DeriveApprodi tra il 2011 e il 2013. Si concede la possibilità ai singoli di indebitarsi per acquistare servizi, la formazione (il debito studentesco negli Usa, ad esempio) e beni (la casa), mantenendo inalterato il tenore di vita in presenza di una già realizzata compressione salariale. Il debito svolge così una funzione rilevante nell’assoggettamento sociale. Serve cioè a plasmare le forme di vita. Allo stesso tempo tuttavia svolge anche un indubitabile ruolo nell’asservimento macchinico, dato che è ingranaggio ineliminabile nelle macchine attinenti la produzione di plusvalore (lo sfruttamento marxiano) e la realizzazione del valore, modellando i rapporti di lavoro tanto nel consumo che nella distribuzione. Se ci si è indebitati e lo si fa pur continuando a lavorare è facile che si accettino bassi salari e la precarietà elevata a sistema.
VENGONO CERTO passati al setaccio gli aspetti inerenti il credito al consumo, la finanziarizzazione del welfare state, la cartolarizzazione del debito individuale e dello Stato nazionale, ma ben poco viene detto dall’autore sugli «effetti collaterali» del debito nel funzionamento delle macchine sociali. La fabbrica dell’uomo indebitato è un potente fattore di stabilizzazione e di governance della società. Il debito funziona come variante ormai generalizzata dell’assoggettamento sociale. Più rilevante è semmai il ruolo che ha nell’asservimento macchinico. Lazzarato rimane sulla soglia degli atelier della produzione, rinunciando a svelare come funzioni l’arcano del debito nei rapporti sociali di produzione.
Su questo crinale, Lazzarato si imbatte inoltre in quello che poco più tardi sarà chiamato populismo, mentre sulla scena globale la guerra torna ad essere una forma specifica di governo della società e delle relazioni tra Stati. È proprio qui che si addensano i materiali che compongono Segni e macchine.
L’AUTORE RIPRENDE in mano – ma il sospetto è che non le abbia mai archiviate – le opere di Gilles Deleuze, Felix Guattari e, in misura minore, di Michel Foucault per qualificare la distinzione tra assoggettamento sociale e asservimento macchinico. Sull’assoggettamento sociale, c’è ben poco da dire. È il terreno ampiamente arato dei meccanismi di governo nella produzione di soggettività. Ha cioè a che fare con il Politico. L’assoggettamento sociale ha però bisogno di macchine, di dispositivi, meccanismi, organismi e organizzazioni che danno forma alle relazioni e ai rapporti sociali. La fabbrica, la famiglia, la scuola, la religione, i media sono macchine alle quali uomini e donne sono progressivamente asserviti all’interno di una dinamica, si potrebbe aggiungere, da società del controllo: non c’è necessariamente brutalità nell’asservimento, ma semmai interiorizzazione delle procedure e dinamiche che portano il singolo a diventare ingranaggio di questa o quella macchina (è contemplato il fatto che si possa essere asserviti a più macchine).
IN QUESTA POLARITÀ, oscillazione tra assoggettamento sociale e asservimento macchinico sono fuorvianti le coppie uomo-donna, natura-cultura, cittadino-lavoratore (disoccupato o precario, ma sono solo variazione del caso), indigeno-migrante (quest’ultima coppia non è molto presente nel libro). Il Politico, questa la conclusione di Lazzarato, le rende operanti per favorire l’assoggettamento sociale. Ma quale Politico alternativo immaginare è ancora un nodo che non si riesce a sciogliere.
Ci sono due bersagli polemici in questo libro. La figura neoliberista dell’homo oeconomicus e la teoria del capitalismo cognitivo. Per quanto riguarda il primo aspetto, la presa di distanza è netta: il neoliberismo riduce, impoverendola, la soggettività alla figure dell’«imprenditore di se stesso» o del «capitale umano». Più sfumata la critica rivolta ai teorici del capitalismo cognitivo che assegnano alle macchine il ruolo di deux ex-machina della rivoluzione. Una volta che si apprende e si comprende come funzionano le macchine tecniche, la strada della liberazione è imboccata.
Il cervello è rinchiuso nella nozione di capitale fisso: per una politica della liberazione basta riappropriarsi di esso – e della conoscenza sans phrase messa al lavoro dal capitale. Per Lazzarato questo significa però incamminarsi sulla strada della spoliticizzazione, perché rimuove tanto l’assoggettamento sociale che l’asservimento macchinico presenti nel capitalismo.
C’È INFINE UN ULTIMO spunto polemico da parte dell’autore. Questa volta sono presi di mira Paolo Virno, qualificato come filosofo del performativo assoluto, e Judith Butler, la filosofa che analizza la possibilità di un altro performativo possibile a partire dalla differenza sessuale, considerata un esito «culturale» e non l’espressione di un essenzialismo biologico.
Se le critiche al capitalismo cognitivo colgono alcuni limiti che tali teorie manifestano, d’altronde evidenziati dagli stessi teorici (Carlo Vercellone e Christian Marazzi) come un programma di lavoro in divenire, le accuse a Virno e Butler risultano a chi scrive poco chiare.
VIRNO, AD ESEMPIO, sostiene che il performativo assoluto vada sempre e comunque rapportato, per coglierne la sua potenza esplicativa, alle trasformazioni nella produzione della ricchezza e al radicale ripensamento sia del concetto di lavoro che di produzione, di capitale fisso e capitale variabile. Judith Butler collega invece il performativo alle forme di assoggettamento sociale. L’intento polemico di Maurizio Lazzarato muove dalla rinnovata verticalizzazione del potere e dal conseguente invito a costruire una macchina da guerra del conflitto sociale e di classe. Tema certo non estraneo all’intera opera di Virno e alla stessa Butler, come emerge dal suo saggio L’alleanza dei corpi (Nottetempo).
Sull’invito di Lazzarato non si può essere che d’accordo, ma per fare questo serve comunque giungere alla fine dell’impervia salita di comprensione dell’esistente senza mai rinunciare alle acquisizioni finora conseguite, come l’impossibilità di riprodurre la forma partito tradizionale e una idea di ricomposizione sociale giacobina che altro non farebbe che impoverire il potere dirompente manifestato dal polimorfismo delle molteplici figure del lavoro vivo. Consapevoli che non tutto è fermo e che il nuovo fascismo evocato da Lazzarato forse non è alle porte, ma che i suoi fratelli gemelli populisti e tecnocratici sono già da anni tra noi. E di disastri ne hanno e ne continuano a fare.

UN ASSAGGIO

Introduzione all’edizione italiana

La divisione sessuale è una questione sociale, la divisione razziale è una questione politica, perché… rivoluzione = possibilità.

La rivendicazione dei gruppi minoritari non si limita al riconoscimento della loro identità. La differenza degli attuali gruppi omosessuali rispetto ad altri, come quelli che esistevano nella Belle Époque, è che il loro problema non è settoriale. Lavorano affinché il loro divenire-omosessuale si introduca nell’insieme della società, perché, di fatto, tutte le relazioni siano lavorate attraverso il divenire-omosessuale. Lo stesso vale per il femminismo: esso non pone solo il problema del riconoscimento dei diritti.
Félix Guattari

1. Capitalismo digitale, capitalismo delle piattaforme

Ho pensato e scritto questo libro più di dieci anni fa, ma è stato pubblicato per la prima volta negli Usa dopo il lavoro sul debito (urgenza politica oblige!). L’intento era quello di utilizzare qualche categoria della coppia Deleuze-Guattari (ma soprattutto le intuizioni di quest’ultimo) per cercare di cogliere i cambiamenti del capitalismo avvenuti dopo il ’68. Spiegare, ad esempio, la messa al lavoro della vita, un mantra del postoperaismo, invece di cercare di adattare le categorie marxiane che erano state pensate a partire dal lavoro industriale.
I concetti principali che il libro sviluppa sono la coppia concettuale asservimento macchinico/assoggettamento sociale, il concetto di “macchina” e le semiotiche che li fanno funzionare. Semiotiche e non “linguaggio”, poiché quest’ultimo non è il “regime di segni” più importante nel capitalismo contemporaneo, anzi.
L’efficacia di queste categorie ho cercato di verificarla problematizzando la nuova natura del “lavoro”, ma “asservimento macchinico” e “assoggettamento sociale” potrebbero essere utilmente utilizzati per rendere conto, ad esempio, di un dibattito che ha attraversato il femminismo e i movimenti Lgbt e da cui si possono trarre degli insegnamenti politici generali.
Le punte più avanzate della “produzione” capitalista sembrano poter integrare facilmente “le differenze”, perché le macchine sociali del capitalismo “non funzionano o funzionano male se non riescono a catturare i mini-processi di desiderio, di libertà, di singolarizzazione”. Esse operano “un recupero permanente dei micro-vettori di soggettivazione”.
Le lotte delle minoranze di genere e sessuali e le soggettivà che hanno combattuto l’eterosessualità come modello maggioritario a cui doversi conformare, sembrano poter essere sussunte proficuamente nella valorizzazione del capitale. Al punto che la femminista Nancy Fraser può affermare che “empiricamente, il capitalismo contemporaneo non sembra aver bisogno dell’eterosessismo”. Fraser continua criticando le lotte delle minoranze di genere e sessuali che si sarebbero concentrate sul “culturale” (le questioni di genere, sessuali e di soggettività) trascurando l’“economico” (le questioni di uguaglianza, redistribuzione, povertà generate dallo sfruttamento del capitale).
Più recentemente in Germania si è scatenato un dibattito che oppone, sulle tracce del dibattito femminista, cultori di politiche dell’identità a sostenitori di politiche sociali.
Come possono “asservimento macchinico” e “assoggettamento sociale” tirarci fuori da queste sabbie mobili in cui sprofondano sia gli uni che gli altri, nella generale incapacità di trovare risposte efficaci all’iniziativa capitalista?
I concetti di asservimento macchinico e assoggettamento sociale spiazzano i termini della polemica. È impossibile distinguere produzione e potere, struttura e sovrastruttura, “cultura” e “economia” perché insieme definiscono il funzionamento del capitalismo. L’asservimento macchinico è un concatenamento di “uomini e macchine”, un funzionamento di elementi umani e non umani che non conosce differenze di sesso, genere, razza, età. Opera attraverso una deterritorializzazione delle identità, delle assegnazioni sociali, delle divisioni uomo/donna, bianco/di colore, adulto/bambino, abile/disabile, intellettuale/manuale, normale/anormale. “Anche le infermità possono servire, invece di essere corrette o compensate. Un sordomuto può risultare essenziale in un sistema di comunicazione ‘uomo-macchine’”.
Un non parlante può essere messo al lavoro e funzionare anche meglio di un parlante perché non è solo, né principalmente il linguaggio che fa funzionare l’asservimento macchinico. La figura produttiva del sordomuto fa emergere, per contrasto, tutto l’idealismo di cui è intrisa la teoria della “soggettività” del lavoratore cognitivo manipolatore di linguaggi.
Contemporaneamente a questa opera di desoggettivazione, il capitale, attraverso il suo contrario, cioè l’assoggettamento sociale, produce le divisioni sessuali, razziali e di classe necessarie al suo comando. L’assoggettamento sociale ci fornisce una soggettività individuale, assegnandoci un’identità, un sesso, una nazionalità, una professione.
Se l’asservimento produce una deterritorializzazione delle soggettività che disloca l’individuo, l’assoggettamento opera una reterritorializzazione che è individualizzante, classista, sessista, razzista. Nel capitalismo contemporaneo non esiste solo la governamentalità degli individui, ma anche quella dei “dividuali” (“agenti” dell’asservimento macchinico che travalicano l’individuo verso la dimensione pre-individuale e la dimensione trans-individuale). Questa differenza e questa complementarietà tra le due governamentalità non sono tematizzate dalla biopolitica, perché Foucault ignora completamente l’asservimento macchinico, ignora cioè le attuali modalità della produzione capitalista.
Ciò che il Capitale integra attraverso l’asservimento macchinico, lo gerarchizza attraverso l’assoggettamento e non può fare altrimenti, perché ne va della sua esistenza. Le gerarchie non spariscono, né si appiattiscono come credono Boltanski e Chiappello, ma cambiano forma e, secondo le necessità politiche del capitalismo, possono anche rafforzarsi.
I neofascismi si sviluppano precisamente nominando e fomentando (e intensificando dopo la crisi del 2008) nuove gerarchie sessuali, razziali, nazionali. Le teorie critiche, ignorando la guerra (il rapporto strategico tra avversari), ignorano anche le sue articolazioni (razzismo, fascismo, sessismo), riducendo il capitalismo a “produzione” (evidentemente e rigorosamente biopolitica!). Di conseguenza non sanno nominare quello che emerge sotto i loro occhi, non sanno cogliere la singolarità delle fasi politiche. Il capitalismo non è costituito da qualche impresa al vertice dello sviluppo tecnologico (che comunque, quando riconosce le minoranze con il “diversity management” le subordina come “capitale variabile”), ma dall’insieme dei dispositivi di potere, che comprendono anche i neofascismi, il sessismo e la guerra. Non si tratta di residui del passato destinati a essere superati dalla prossima fase di crescita, ma delle modernissime, neo-arcaiche modalità della “guerra contro la popolazione”. I neofascismi, l’altra faccia complementare dell’innovazione e della creazione, e non il populismo, sono il problema della fase politica aperta dal crack della finanza.
Questo duplice e contemporaneo movimento del capitale non è colto dal dibattito lanciato dalla Fraser. La risposta di Butler alle argomentazioni di quest’ultima è una critica che non contesta, ma al contrario riafferma la validità dei concetti di “cultura”, di “ideologia”, di “simbolico”, includendoli però, diversamente dalla prima, nella struttura.
Quello che più stupisce nel botta e risposta tra Fraser e Butler è che le poste in gioco politiche sono espresse attraverso categorie hegeliane o la marxiana distinzione tra struttura e sovrastruttura.
Si poteva pensare che dopo Sputiamo su Hegel più nessuno avrebbe tentato di utilizzare la dialettica e i suoi miracolosi rovesciamenti per cercare di definire il conflitto politico, né nessun altro sarebbe stato disposto a riverniciare l’ideologia (althusseriana) come componente “materiale” della produzione.
Asservimento e assoggettamento si sbarazzano di queste opposizioni novecentesche (cultura ed economia, ideologia e struttura, simbolico e reale) e ci mettono in guardia contro ogni hegeliana politica del “riconoscimento”.

I concetti di cultura e di identità culturale sono profondamente reazionari […] ogni volta che appare un problema di identità o di riconoscimento siamo, come minimo, di fronte a una minaccia di blocco o a una paralisi del processo rivoluzionario.

La lotta dialettica per il riconoscimento, quando non è una semplice tattica (a volte necessaria), sfocia inevitabilmente nell’integrazione e nella subordinazione al comando capitalistico, cosa già successa e verificatasi con la “classe operaia”. Le forze politiche “ancelle” del capitalismo sono innumerevoli. Le minoranze sessuali non sono le prime e non saranno le ultime.
Esse, conquistando uno statuto che le riconosce, invece di mettere in discussione il potere del modello maggioritario (eterosessuale), lo confermano. Esattamente come al riconoscimento della classe operaia è seguita la legittimazione della relazione capitale-lavoro. Le forze che il capitale incorpora le mantiene in posizione subordinata al modello maggioritario (nel caso delle minoranze sessuali) o alla logica del capitale (nel caso della classe operaia).

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