Il Comune come modo di produzione

 20.00

Descrizione

Carlo Vercellone,Francesco Brancaccio,Alfonso Giuliani
Il Comune come modo di produzione. Per una critica dell’economia politica dei beni comuni

Che cosa è il Comune? Quali sono i suoi fondamenti? Si tratta di un insieme di risorse ben delimitate – i cosiddetti beni comuni – o, invece, di un principio generale d’organizzazione sociale della produzione?
La necessità di ripartire da tali interrogativi nasce dalla ricchezza, ma anche da una certa confusione, che caratterizza il dibattito sul Comune. Da un lato, nozioni come Comune al singolare, commons, beni comuni, proprietà comune, common-pool resources ecc., sono utilizzate talvolta come sinonimi, talvolta opposte le une alle altre, senza darne una definizione precisa. Dall’altro, si tende spesso a dimenticare come dietro l’uso di questi termini si celino approcci molto differenti, sia sul piano teorico, sia su quello del ruolo politico che il Comune potrebbe svolgere in un progetto di trasformazione sociale.
Il proposito di questo saggio è di contribuire a fare chiarezza su tali questioni attraverso un approccio multidisciplinare che combina teoria e storia. L’obiettivo è duplice. Il primo è di fornire al lettore una guida per un’analisi critica delle principali teorie economiche e giuridiche dei beni comuni. Un’attenzione particolare sarà data agli apporti e ai limiti del contributo di Elinor Ostrom e al dibattito sulla cosiddetta tragedia dei beni comuni. Questa rassegna della letteratura ci permetterà anche di mostrare ciò che il Comune non è o, perlomeno, ciò a cui non deve essere ridotto. Il secondo obiettivo è di proporre un approccio alternativo a quello dell’economia politica. In questo quadro, il Comune è pensato come un vero e proprio “modo di produzione”.

Francesco Brancaccio è Research Fellow presso il Centre d’Économie de la Sorbonne, Paris 1 – Panthéon-Sorbonne.
Alfonso Giuliani è assegnista di ricerca presso il Centre d’Économie de la Sorbonne, Paris 1 – Panthéon-Sorbonne dove insegna Teorie economiche comparate.
Pierluigi Vattimo è dottorando in Studi Internazionali presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, in cotutela con l’Université Paris 1 – Panthéon-Sorbonne.
Carlo Vercellone è professore ordinario presso l’Université de Paris 8 e membro del CEMTI e del Laboratorio Centre d’Économie de la Sorbonne.

RASSEGNA STAMPA

OperaViva – 15 novembre 2017

Comune è il modo di produzione
di Augusto Illuminati

Nella letteratura ormai cospicua sui beni comuni questo libro di Vercellone, Brancaccio, Giuliano, Vattimo, Il Comune come modo di produzione (ombre corte, 2017), si distingue per porre al centro con chiarezza un elemento: «Il Comune come modo di produzione è più importante di una classificazione tipologica dei beni comuni (naturali, artificiali, materiali, immateriali, antichi e nuovissimi). «Parlare di Comune come modo di produzione significa anche affermare che lungi dal rappresentare una semplice enclave, esso è suscettibile di porre le basi di un nuovo ordine economico e sociale articolato su una gerarchia completamente differente tra Comune, pubblico e privato» (p. 17). Si tratta cioè di un intervento strategico nell’economia della conoscenza e nel capitalismo cognitivo, che colora (avrebbe detto Marx) anche le altre forme di uso dei beni materiali e immateriali su cui di recente è ripreso il dibattito, a partire da Hardin e Ostrom (cap. I).

La prospettiva del modo di produzione, che segna una rottura con l’economia politica dei commons, non è però univoca e, per esempio, viene condotta una critica serrata dell’approccio meramente politicistico di Dardot e Laval, un’utopie sans sujet che non si fa carico della soggettività del lavoro capace di incarnarla (cap. II). Il riferimento all’ultima stagione marxiana, che rinuncia all’evoluzionismo stadiale e si mostra attenta alla pluralità delle vie al socialismo, collega la tematica del comune (l’óbščina dei populisti russi e del carteggio con Vera Zásulič) all’economia post-fordista della conoscenza (cap. III), i cui risvolti giuridici sono esaminati nel cap. IV, mentre al relativo e più appariscente aspetto informatico è dedicato il cap. V. > continua a leggere >


 

il manifesto – 21 nobvembre 2017

Scommesse poco negoziabili
di Toni Negri

Tempi presenti. Un saggio a più voci – Carlo Vercellone, Francesco Brancaccio, Alfonso Giuliani e Pierluigi Vattimo – per discutere de «Il comune come modo di produzione», pubblicato da ombre corte

Non ci si può certo lamentare che del «comune» non si parli abbastanza. Non nei Parlamenti, certo. Ma nelle università e nei centri di ricerca in economia e in filosofia, sembra divenuto topos centrale. Si può malignare che appena si impone un tema rivoluzionario qual è il «comune», si scatenano tentativi istituzionali per neutralizzarlo.
Il libro di Carlo Vercellone, Francesco Brancaccio, Alfonso Giuliani e Pierluigi Vattimo – Il comune come modo di produzione (ombre corte, pp. 230, euro 20) – rappresenta una solida barriera eretta contro ogni recupero e un riuscito esperimento per darci un’immagine concreta del comune. Meglio, ci offre una discussione critica del suo concetto, dell’astrazione che lo estrae dal reale, per aprirla a un dispositivo di soggettivazione politica. Oltre a fornire un originale approccio scientifico al «comune», questo libro possiede anche una forte tonalità pedagogica e politica.

PER ORDINARE LA LETTURA del libro, scritto da quattro autori (che perciò contiene qualche utile ripetizione), dividiamolo in quattro parti: una prima decostruttiva delle teorie del comune afferenti all’ideologia economica individualista e/o socialista; una seconda parte costruttiva del concetto di «comune come modo di produzione»; una terza che affronta il tema del «diritto del comune»; e una quarta che sviluppa la problematica del comune nell’economia digitale e della conoscenza.
È noto come nell’ambito delle teorie economiche a fondamento individualista la stessa possibilità del «comune» sia stata trasformata in «tragedia», in catastrofe sociale dal paradosso di Harding, e prudentemente recuperata dalla Ostrom e dalla sua scuola, affidandola alla «buona volontà». Quanto ai prudhoniani Dardot/Laval, il comune è analizzato come idea, ragionevole ed eticamente doverosa, da costruire componendo immaginazione sociologica e militanza politica. A confronto con queste figure ideologiche, Vercellone e i suoi compagni rinnovano l’analisi realistica della «macchina» che produce il comune. Le trasformazioni del lavoro, la sua cognitivizzazione e la sua qualificazione biopolitica, da un lato, e, dall’altro, le nuove strutture tecnologiche della produzione costituiscono base fondamentale del configurarsi del comune come «modo di produzione» – alla stessa maniera nella quale lo erano la «manifattura» o la «grande industria» nella classificazione marxiana.

Ma la determinazione sociologica e tecnologica non è sufficiente. È alla lotta di classe che si svolge nel sociale per l’appropriazione di quote di reddito e di welfare, che è riconosciuto un ruolo fondamentale nella costruzione del comune. «Quando i saperi vivi, incorporati e mobilitati dal lavoro svolgono nell’organizzazione sociale della produzione un ruolo preponderante rispetto ai saperi morti, incorporati nel capitale costante e nell’organizzazione manageriale dell’impresa»; «quando l’espansione dei servizi collettivi, permette la formazione di quelle che possiamo chiamare intelligenza collettiva o intellettualità di massa»; insomma, «quando dallo sviluppo di un’economia fondata sulla conoscenza comincia a liberarsi ’tempo’ come forza produttiva immediata» allora si sperimenta la maturazione del nuovo modo di produrre: cognitivo, cooperativo, affettivo, dunque ’comune’». > continua a leggere >

UN ASSAGGIO

Indice

9 Introduzione

23 Capitolo primo. Per una critica dell’economia politica dei commons: una prospettiva storica e teorica

1. La teoria samuelsoniana dei beni pubblici come fallimento del mercato; 2. Garret Hardin e la tragedia dei commons; 3. Apporti e limiti dell’approccio neoistituzionalista di Elinor Ostrom; 4. In guisa di conclusioni. Nodi aperti e irrisolti della nuova economia politica dei beni comuni

53 Capitolo secondo. Approcci del Comune al singolare e il Comune come modo di produzione

1. Il Comune al singolare come principio politico: elementi per una critica; 2. Il Comune come modo di produzione: una nuova prospettiva teorica

70 Capitolo terzo. Comune e commons nella dinamica contraddittoria tra un’economia fondata sulla conoscenza e capitalismo cognitivo

1. Da un sistema di welfare state verso un sistema di Commonfare; 2. I centri sociali come commons urbani; 3. Iscrivere il concetto di Comune e di beni comuni nelle regole di funzionamento delle amministrazioni pubbliche locali

107 Capitolo Quarto. Rivisitare il diritto a partire dal Comune come espressione di un rapporto sociale di produzione

1. Tra produzione sociale e produzione normativa: un ritorno ai “fondamenti” del diritto; 2. Le trasformazioni odierne della proprietà e in particolare della proprietà intellettuale; 3. Il riemergere del diritto del Comune nel nuovo capitalismo come alternativa all’ideologia proprietaria del neoliberismo e alle nostalgie stataliste

149 Capitolo quinto. L’economia della conoscenza e del digitale tra dinamica dei commons e nuove enclosures

1. La conoscenza come bene pubblico e prodotto di un settore specializzato: il paradigma fordista di Arrow e Merton; 2. Lo sviluppo del capitalismo cognitivo e la crisi del paradigma arrowiano e mertoniano della conoscenza; 3. La rivoluzione informazionale del pc e della rete: e all’inizio fu il Comune; 4. Le metamorfosi del capitalismo cognitivo e l’integrazione della critica delle moltitudini: lo spirito del Comune è diluibile dentro un nuovo spirito del capitalismo?

204 Conclusioni. Elementi per un’agenda del Comune

215 Bibliografia

231 Gli autori


 

Introduzione

Comune e beni comuni tra teoria e storia: elementi per un’introduzione metodologica

Pubblico e privato appaiono ancora come i due poli indiscussi dell’organizzazione economica e sociale e delle forme di proprietà. Tanto nel dibattito sulle politiche economiche che sulle alternative sistemiche, tra questi due poli sembra non esserci niente, o per lo meno così sembrava fino alla recente riscoperta della tematica del Comune e dei beni comuni. Ponevamo volutamente l’accento sul termine riscoperta. Infatti, le forme di gestione e di proprietà fondate su beni comuni sono in realtà anteriori a quelle fondate sul pubblico e sul privato.
Per parafrasare un’asserzione di Fernand Braudel (1979), riferita al capitalismo, possiamo affermare che la questione del Comune e dei beni comuni è una vecchia storia che precede, attraversa e supera la rivoluzione industriale e la Modernità.
Per ragioni storiche inerenti allo sviluppo delle forze produttive e delle istituzioni, essa ha preso, in primo luogo, la forma dei commons fondiari legati alla sacralità della natura e alla gestione della terra. Così già nel diritto pubblico romano esisteva la nozione di res communes omnium. Si trattava di cose come il mare, l’aria, l’atmosfera che appartengono a tutti per la semplice ragione che nessuno ha interesse o può stabilire su di esse un rapporto di appropriazione esclusivo. Sul piano giuridico, le res communes sono d’altronde già differenziate dalle res nullius, che sono le cose senza proprietario, ma appropriabili. E a loro volta, le res nullius, si differenziavano dalle res nullius in bonis. Quest’ultime comprendevano le “res” fatte rientrare istituzionalmente nella sfera del sacro (templi e luoghi di culto), del religioso (luoghi di sepoltura), del santo (mura urbane e castrali) o del pubblico (strade, piazze, litorali, ecc.), e definite da un regime di indisponibilità, che ne decretava il carattere non appropriabile (Yan Thomas 2016). Ma la storia del comune va ben al di là del suo riconoscimento giuridico nel diritto romano.
Differenti sistemi economici e sociali anteriori all’avvento del capitalismo hanno poggiato su istituzioni e modi di organizzazione della produzione fondati su forme di proprietà comune della terra o di altre risorse naturali.
Le comunità cosiddette primitive delle società dei cacciatori-raccoglitori teorizzate già da Levis Henry Morgan (2011), il padre dell’antropologia moderna, presentano così delle somiglianze estremamente significative con i commons fondiari che il premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom, teorizzerà a cavallo tra la fine del xx e l’inizio del xxi secolo. […]

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