Il senso inatteso

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Ubaldo Fadini

pp. 138
Anno 2018
ISBN 9788869481093

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Descrizione

Ubaldo Fadini
Il senso inatteso
Pensiero e pratiche degli affetti

he cosa propone questo testo? Un’idea di filosofia che riconosce la parzialità delle sue figure, dei suoi temi, a partire dall’affermazione del valore dell’incontro, della relazione, di tutto ciò che ha come effetto uno spiazzamento, una sorpresa, un cambiamento delle abitudini e delle pratiche di vita. Una filosofia che fa quindi i conti con l’inatteso, che vive anzi proprio del suo senso e del suo diventare sensibile, esperienza allora di qualcosa che sollecita le facoltà umane, anche quella particolarmente “penosa” della stupidità (Flaubert), che consegna a una condizione di “grevità” da far valere comunque come stimolo singolare, appunto sorprendente, a non restare confinati all’interno di una dimensione dominata dalla “stoltezza”, da una “bassezza” ritenuta insuperabile. Pensiero e stupidità, estraneità e amicizia, parzialità e finitezza… e molto altro ancora viene restituito da pagine nelle quali la posta in gioco è ancora quella di cogliere ciò che di straniero c’è nel filosofo, per dirla con Deleuze e Guattari, “con quell’aria di chi ritorna dal paese dei morti”. Quali sono i ricordi di tale esperienza, come riescono a dire che nulla è mai veramente passato? Non lasciarsi strappare i significati, anche quelli più terribili (non soltanto quelli positivi e sereni), degli incontri, delle relazioni, considerarli come risorse di trasformazione, di metamorfosi (Canetti), in vista di una riarticolazione orgogliosa di un lavoro come quello della filosofia che non vuole accomodarsi alle dinamiche odierne neppure troppo mascherate di incremento delle bassezze e delle condotte stolte di vita.

Ubaldo Fadini insegna Filosofia morale presso l’Università di Firenze. Fa parte dei comitati di redazione e dei comitati scientifici di numerose riviste, tra cui “Aisthesis”, “Iride”, “Millepiani”, “Officine filosofiche”. Tra i suoi lavori più recenti: La vita eccentrica (2009), Fogli di via (2018) e, per i nostri tipi, Figure nel tempo (2003), Il futuro incerto (2013), Divenire corpo (2015) e Velocità e attesa (2020).

Rassegna stampa

STANZA 251

“L’io inatteso” di Ubaldo Fadini: Deleuze, Carroll e Celati

Sospeso fra suggestioni letterarie e ricerca filosofica è il recentissimo saggio di Ubaldo Fadini “Il senso inatteso. Pensiero e pratiche degli affetti”. Vi presentiamo un montaggio di materiali tratti dal libro che Fadini ha elaborato in esclusiva per Stanza 251 aggiungendo delle preziose note d’autore di taglio più personale… continua a leggere >


IL MANIFESTO – Cultura – 25.05.2019
Ubaldo Fadini, conversazioni aperte sulla metamorfosi dell’essere umano
di Roberto Ciccarelli

Scaffale. Un percorso in più libri scritti di recente dal filosofo Ubaldo Fadini: un appello a sperimentare la vita non riconciliata e inattesa.

Ubaldo Fadini è un sismografo che registra spiazzamenti e sorprese, cambiamenti delle abitudini e delle pratiche di vita. Negli ultimi mesi ha pubblicato Fogli di via, ai margini dell’antropologia filosofica (Clinamen, p. 97, euro 10,80) e Il senso inatteso. Pensiero e pratiche degli affetti (ombre corte, pp. 138, euro 13) a cui ha aggiunto la ristampa delle conversazioni sulle «metamorfosi dell’umano» tra Theodor Adorno e Elias Canetti, e tra Arnold Gehlen e Adorno con un titolo prezioso: Desiderio di vita (Mimesis, pp.110, euro 12). Sono libri composti da saggi interconnessi che sviluppano una critica filosofica definita «geografia delle relazioni», un «pensare con» gli autori come Gilles Deleuze e Michel Foucault. Questo intreccio di culture filosofiche francesi e tedesche, spesso considerate in contrapposizione, almeno in Italia, rendono interessante questa arte del saggio.
FADINI È ALLA RICERCA di una potenzialità incarnata nell’essere umano. È un concetto importante, quello di «potenza», perché rende manifesta una condizione storica immanente non predeterminata, ma aperta a nuovi divenire. Ne Il senso inatteso Fadini spiega questa figura con Robert Musil nelle cui opere emerge un «uomo delle possibilità», colui che «erra» nel mondo, e si sporge sempre «in avanti». In più, questo «uomo» è ironico, cosciente della rozzezza e delle bassezze, non subisce la sua stupidità, ma la usa mentre apprende e cambia. Così facendo si preserva dal suo essere «carente» e si predispone alla metamorfosi. Per questo la vita si dà nell’incontro con qualcuno, qualcosa, un evento.
È APERTA SUL «FUORI», non è fissata a difesa del fortino dell’Io. In questo disequilibrio, che produce angoscia, paure e istanze immunitarie, Fadini vede il lato della possibilità, non quello dell’annientamento e arriva così a una definizione materialistica del concetto di «uomo», molto distante dal pessimismo antropologico, il nichilismo e la filosofia del pauperismo oggi dominanti.
IL PERNO DI QUESTA VISIONE è una teoria dell’azione basata su una disposizione sperimentale e sul primato dell’ipotetico, sulla «precisione meccanica» e l’«imprecisione vitale» coniugati per dare respiro al desiderio di un avvenire, materialmente accessibile a partire dall’individuazione di ciascuno. Fadini mette questa tesi alla prova del capitalismo nella sua stagione digitale che ha messo in produzione direttamente la forza lavoro, la sua potenza di creare ogni valore d’uso. Basta un telefono, una piattaforma, un videogame: la forza lavoro produce per i signori del Silicio immense quantità di dati che vengono raccolti, profilati, resi intelligenti e rivenduti a terzi. Per poi essere usati nella pubblicità, nell’industria delle assicurazioni o dagli imprenditori della salute o nell’industria militare.
DI SOLITO SI PENSA che «noi siamo diventati la merce». Non è così. È la forza lavoro a essere mezzo di produzione tramite piattaforme, diventa una merce al termine di un processo di cui è sia l’oggetto che il soggetto. Chi lo ha capito meglio sono i capitalisti, non coloro che si auto-sfruttano. Il filosofo risponde che il rovesciamento è possibile. La vita non è destinata a restare prigioniera dell’astrazione, altrimenti rischierebbe di cancellare «l’ultima traccia emozionale», riducendosi all’«assoluta tautologia del pensiero» ha scritto Adorno in Minima Moralia. La vita si rinnova grazie al processo di liberazione dell’immaginazione e alla consapevolezza dei meccanismi che la sfruttano.
L’AUTORE RICORDA che questo connubio è possibile perché nell’essere umano intravvede un’eccedenza rispetto alla misura, quantità o dato ai quali il capitale lo vuole ridurre. Nel capitalismo delle piattaforme la vita non è riducibile a un avatar digitale. Questa identità non esaurisce la sua potenza. Anzi, è proprio in virtù del fatto che è irriducibile a una misura che il meccanismo di estrazione del valore approntato dai padroni degli algoritmi può funzionare all’infinito. La critica dell’economia politica del capitalismo restituisce «la parzialità dell’automatismo» a cui ci inducono le tecnologie digitali e permette di concepire la possibilità che esista un altro uso della vita, e delle tecnologie, diversi dall’auto-asservimento fonte di risentimento.
FADINI CONSIDERA la parzialità politica di questa condizione, la storicità e la sua reversibilità. L’accesso al mondo si può dare diversamente da un processo di addestramento come gorilla da tastiera. Una posizione non scontata, considerata l’epoca reazionaria che celebra da trent’anni la fine della storia. Quello di Fadini è un richiamo spinozista alla conoscenza e alla liberazione, un appello a sperimentare la vita non riconciliata e inattesa, l’invito a dispiegare la potenza a partire ciò che è incarnato in questo nostro corpo.

UN ASSAGGIO

Premessa

Cosa si tenta di proporre, tra l’altro…, in questo testo? Un’idea di disambientamento della filosofia, rispetto a quelli che sono ormai suoi assetti e configurazioni che mi appaiono scontati nel momento in cui presuntuosamente si vogliono come ben determinati, particolarmente incisivi e assai consolidati. Ma ancora di più: si pretende qui di delineare una idea della filosofia proprio come pratica reale di disarticolazione delle abitudini, delle consuetudini, delle ovvietà di pensiero, che sempre più spesso veicolano soltanto pigrizie e pavidità “intellettuali”. Un rinvio di carattere esemplificativo, in tale direzione, potrebbe essere proprio al motivo indubbiamente paradossale del “disambientamento” del senso, che si collega a ciò che l’accompagna, meglio: che lo co-costituisce, vale a dire il non-senso, per riprendere la terminologia filosofica cara a Gilles Deleuze e a Félix Guattari (penso soprattutto al loro Che cos’è la filosofia?).
Ecco, proprio la filosofia, sempre di nuovo…: di essa va ribadita la qualifica, a mio modo di vedere, di caratteristico e appunto decisivo – lo ripeto ancora – “disambientamento”, di sviluppo cioè della sua anima “critica”, concretamente “pratica”. In tale prospettiva, vorrei riprendere in questo libro un filo di ragionamento che comprende certe tradizioni di pensiero novecentesco, opportunamente “tradite”, proposte di realizzazione di modalità differenti di convivenza, di “nuove istituzioni”, di cui ho scritto altrove, sulla base della ri-determinazione del “corpo” umano, del “soggetto” contemporaneo, come effetto di fantasia e fattore di valorizzazione dei suoi contenuti di materialità, non soltanto organica (com’è manifesto nel mio lavoro su Il tempo delle istituzioni), uno sguardo antropologico rinnovato e attento a tutto ciò che non porta a pensare come inevitabile l’identificazione della soggettività contemporanea come qualcosa di destinato ad una reificazione piena e irreversibile. Tutto questo implica una attitudine per così dire “sperimentale”, nel riconoscimento del valore di ciò che s’incontra, che si va a toccare o che ci ri/guarda, collegata poi strettamente ad una riflessione che mostra particolare interesse proprio al motivo dell’affezione, a ciò che scaturisce dal porsi in prossimità di, nel momento in cui ci si muove – si fa una “passeggiata”: per riprendere il sottotitolo di Ambienti animali e ambienti umani, di Jakob von Uexküll – in mondi poco conosciuti o addirittura francamente quasi completamente ignoti. Tutto questo non può che essere accompagnato da “perseveranza e attenzione”, come ricordava non tantissimi anni fa Ferruccio Masini, nel senso di una ricerca di tracce “esigue, illeggibili e fugaci”, espressioni di incontri imprevedibili e da sviluppare ulteriormente. Una sorta di passeggiata comunque “schizo”, un po’ disadattata…, testimoniata soprattutto dai primi due capitoli rivolti a sondare la portata di quella “facoltà penosa” (la stupidità) che balza in primo piano, nella sua ambivalenza, laddove ci si trova di fronte a qualcosa, magari anche a dei pensieri con i quali il confronto porta a parere “di volare a cavallo di una scopa” (come afferma il protagonista di L’uomo di Kiev, di Bernard Malamud, nella sua lettura di Spinoza). Ma così è forse anche detto troppo… riconoscendo come nel progredire del testo si esprima in maniera più sintetica una costante – e poco incline ai compromessi – antipatia nei confronti di forme di analisi comunque costrittive, anche quella che a volte fa capolino in riferimento al cosiddetto “giudizio di attribuzione”, ben lavorato in ogni caso ai fianchi dalla ri-valorizzazione dell’empirismo di Hume tentata da Deleuze, in particolare quando il filosofo francese annota il “pensiero straordinario” di una filosofia che diventa anche “geografia delle relazioni”, con sensibilità dunque un po’ inevitabilmente dissociata…, indicando come sia infine decisivo “pensare con E, invece di pensare È”. Un invito che cerco di raccogliere, a modo m/io, cioè con un po’ di auto-ironia e di relativo disinteresse ai propositi dichiarati dell’“autore” in gioco, nelle pagine che seguono.

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