Descrizione
Antonio Negri
Fabbriche del soggetto
Archivio 1981-1986
A cura di Mimmo Sersante
Pubblicato nel 1986 da “compagni coraggiosi”, insofferenti della repressione degli anni Settanta e del mefitico clima degli Ottanta, questo libro raccoglie alcuni lavori che Antonio Negri aveva prodotto a partire dal 1981, in parte in carcere, in parte in esilio. Il suo intento – come si leggeva nella quarta di copertina – era di “fornire una breve guida per la ripresa del lavoro teorico-politico, su un terreno qualificato dall’apparire, in questo scorcio del XX secolo, di nuovi desideri e bisogni costruttivi, ma anche segnato da una sconfitta politica e da una conseguente radicale modificazione dell’orizzonte culturale: il postmoderno. Ora, nota Negri, questa situazione è attraversata da un paradosso: battendo la vecchia composizione di classe e disgregandone la memoria, il tardo capitalismo non è venuto a capo della crisi dello sviluppo, e neppure dei suoi avversari – anzi, su quel livello di universale astrazione e di meccanica indifferenza che il postmoderno rappresenta, un nuovo soggetto, non meno sovversivo di quello precedente, si è mostrato. Quali sono i percorsi genetici del nuovo soggetto? La critica del postmoderno (come delle teorie giuridico-politiche che ad esso si collegano) ci mostra come l’artificialità di quell’orizzonte possa essere criticamente condotta a consistenza ontologica e come le protesi meccaniche di questa ontologia possano essere riassunte nella figura di una nuova soggettività”.
Applicandosi alla critica di questi temi, si apre qui dunque quella ricerca che porterà Negri, da un lato a costruire, con Michael Hardt, quegli affreschi della postmodernità capitalista che sono Impero e Moltitudine; dall’altro a inseguire la genesi delle nuove soggettività rivoluzionarie in Il potere costituente e in Manifesto per il XXI secolo – fino alla definizione dell’orizzonte politico del “comune” (che, ancora con Hardt, Negri comincia a costruire in Commonwealth). Gli scritti che compongono Fabbriche del soggetto rappresentano dunque un vero e proprio archivio del pensiero del “secondo” Negri.
Antonio Negri ha insegnato in diverse Università europee. La sua ricca produzione teorica ha avuto riconoscimenti in vari ambiti internazionali. Tra i suoi lavori più recenti: Goodye Mr Socialism (Feltrinelli, 2007), Fabbrica di porcellana (Feltrinelli, 2008) e, con Michael Hardt, Impero (Rizzoli, 2004), Moltitudine (Rizzoli, 2004), Comune. Oltre il pubblico e il privato (Rizzoli, 2010) e Questo non è un manifesto (Feltrinelli 2012). Per i nostri tipi, la nuova edizione di Dall’operaio massa all’operaio sociale, Il lavoro nella costituzione, Dentro/contro il diritto sovrano e Il comune in rivolta.
RASSEGNA STAMPA
“il manifesto” – 7 dicembre 2013
Le solitudini dell’intelletto generale
di Gigi Roggero
«Fra catastrofe e ricostruzione»: ecco dove si situa [/ACM_2]Fabbriche del soggetto, l’«Archivio 1981-1986» di Toni Negri che ombre corte ha il merito di rendere disponibile in una nuova edizione (euro 20, pp. 234). Nel 1986, anno della pubblicazione, la catastrofe assume le sembianze dell’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl, immagine tragica dell’unificazione del mercato mondiale capitalistico. Ma la sua radice sta nella «sconfitta» dello straordinario ciclo di lotte del decennio precedente. Qui inizia la controrivoluzione neoliberale.
Il libro prende atto in modo deciso dell’avvenuto passaggio alla sussunzione reale, anticipata da Marx nel Capitolo VI inedito. In questo quadro Negri da un lato ripensa la critica del diritto, coestensivo della sussunzione reale; dall’altro, definisce le due caratteristiche principali della nuova «essenza collettiva»: virtualità, cioè rapporto storicamente determinato tra tendenze possibili e pratica della decisione, e irreversibilità, in quanto mutamento della logica dell’esistente, alla luce della quale vanno riorganizzati gli elementi del quadro. Nel passaggio alla sussunzione reale vi è una sorta di «accumulazione originaria» di soggettività, per cui all’estorsione del plusvalore corrisponde una trasformazione della forza lavoro. Si crea insomma una nuova natura. Anzi, natura e storia diventano indistinguibili.
In Fabbriche del soggetto viene anticipata la «vita messa al lavoro», laddove l’astrazione diviene sostanza del soggetto e il comando unico elemento del potere capitalistico. L’antagonismo si configura allora come «alternativa dell’essere e del non essere»: da qui una ripresa, in termini materialisti e spinoziani, dell’immediata valenza etica del rifiuto. Il rompicapo di questa antinomia può essere risolto solo nella pratica, dentro la modificazione del paradigma. Ritorna il problema: come si produce una nuova natura, dentro e contro quella storicamente determinata? Proprio perché «non esiste processo senza soggetto», le «fabbriche» che lo producono non sono affatto territori neutri, di cui semplicemente basti riappropriarsi per «ricostruire». Non confondiamo il «comunismo del capitale» con il movimento reale che distrugge lo stato di cose presente. La tendenza è sempre un rapporto di tensioni antagoniste: non ci si può affidare ad essa, dentro la «virtualità» bisogna organizzarsi per costruire nuovi divenire. Ovvero curvare e distruggere i divenire del capitale, formidabile macchina di produzione della soggettività.
Il rapporto tra composizione tecnica e politica di classe non si può più dare nei termini elaborati dell’operaismo, scriveva Negri a metà degli anni ’80. Limitarsi oggi a ripeterlo non aiuta granché l’innovazione teorica, né è segno di una discontinuità costituente; il problema è provare a individuare i nuovi termini o elaborare altri arnesi concettuali. A meno che non ci si accontenti di constatare l’eterogeneità del lavoro vivo contemporaneo, preferendo la descrizione empirica alla scommessa politica, o peggio ancora naturalizzando quell’eterogeneità e rinunciando alla «virtualità» di una composizione comune. Dal punto di vista della lotta di classe, comune è infatti il contrario di omogeneità.
Ecco la forma del rompicapo in cui siamo da tempo immersi. Se la soluzione è solo nella pratica, una teoria rivoluzionaria non può baloccarsi nel complicare continuamente le cose: possedere la complessità del reale serve ad azzardare semplificazioni. Questa é la differenza tra lo scrivere per gli intellettuali e lo scrivere per i militanti. Negri ha perlopiù cercato di fare la seconda cosa, assumendone anche i rischi teorici. E tuttavia di fronte alle impasse, teoriche e politiche, forte è la tentazione di ripiegare sull’incantesimo del metodo.
«Non so spiegarmi con me stesso», scriveva l’autore: sul bordo di un possibile salto ci si può infatti spiegare solo dentro un processo collettivo, perché collettivi sono i salti in avanti. Altrimenti si salta nel vuoto, finendo per distruggere accumuli organizzativi e di soggettività. E la ricostruzione precipita in catastrofe, o in farsa. Attenzione allora a non trasformare l’«elogio dell’assenza di memoria» in cancellazione della conoscenza. L’assenza di memoria va conquistata attraverso la produzione di genealogie partigiane, pena la loro trasfigurazione in reliquie o rimozioni. Ed è solo in questa costituzione materiale, «dall’altezza dell’esperienza fin qui fatta», che maturano i bisogni di discontinuità.
Soprattutto in tempi duri, l’unico intelletto a cui fare riferimento è quello generale. Bastassero il genio individuale e le belle idee, sarebbe stato molto più semplice spedire «Lenin a New York» e prima ancora farlo arrivare in Inghilterra. Ma fuori dal comune – come Negri ha insegnato dal punto di vista teorico – vi è unicamente la profonda solitudine del singolo e di piccoli gruppi attivisti o intellettuali. Solo in una ricerca militante collettiva la storia si riapre consentire la conquista, spinoziamente, dell’eternità. O, più modestamente, con l’Internazionale di Fortini: «qui l’avvenire è già presente – chi ha compagni non morirà».
Euronomade – 13 dicembre 2013
FABBRICHE DEL SOGGETTO. UNA CONVERSAZIONE CON ANTONIO NEGRI
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