a cura di Guazzo, Rieder e Scuderi
a cura di V. Pellegrino
R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista
 
>b>il manifesto - 11 luglio 2010

Pratiche di desistenza per vite messe all'indice La persecuzione delle lesbiche durante il nazismo
di Luisa Passerini

Pregi di questo libro sono la dimensione sovranazionale - i casi trattati si riferiscono all'Austria, alla Germania, alla Spagna e all'Italia - e la documentazione di molte vite di donne, spesso nei campi di concentramento, attraverso fonti di varia natura. Vengono infatti presi in considerazione documenti da atti processuali, memorie autobiografiche, testi giuridici, codici, testimonianze orali, testi letterari e teatrali. Giustamente lamentano le curatrici che molti archivi, come quelli ungheresi, sono ancora inaccessibili, il che limita fortemente la ricerca storica. Nello stesso tempo, non è soltanto quest'ultima che viene limitata, ma anche l'universo della commemorazione, che sta assumendo una dimensione sempre più fortemente europea, nel quale però le figure delle lesbiche non sono ancora presenti in maniera adeguata.
La barra che compare nel titolo indica che per le lesbiche non è possibile semplicemente esistere, che le loro scelte sessuali ed esistenziali implicano sempre anche qualche forma di resistenza, in particolare per quanto riguarda la vita in ambiti totalitari. Il concetto di resistenza assume in tal modo una dimensione quotidiana e culturale, che amplia la concezione della politica e la spinge a confondere i confini tra pubblico e privato. Il tema del rapporto tra esistenze e resistenze è esaminato in particolare nel saggio di Paola Guazzo, che usa termini significativi come "'modi' di esistenza delle lesbiche italiane durante il fascismo", "'sopravvivenza' associativa femminile" e "pratiche di complicità" verso il potere nazifascista, altrettante espressioni che indicano la complessità delle forme di vita nella situazione dei soggetti di regimi totalitari.
Su questa linea, gli aspetti più interessanti della raccolta sono quelli in cui la contestualizzazione storica del concetto di lesbica viene problematizzata e complicata. Così Vincenza Scuderi sottolinea che non fu il lesbismo la causa prima dell'esilio e della persecuzione di molte donne da parte del regime nazista, ma "piuttosto una commistione assai più esplosiva fra lesbismo, impegno politico e, talvolta, origine ebraica". Parecchie delle donne considerate nel libro infatti erano ebree e in quanto tali oggetto di molteplici forme di discriminazione. Scuderi indica quindi che sembra emergere non tanto un soggetto lesbico individuabile univocamente come tale, quanto piuttosto un atteggiamento queer, dove "la scelta di identità sembra situarsi in un crinale intermedio, realizzandosi in diverse forme e possibilità quasi contemporanee".
Un contributo di rilievo in una direzione simile è il saggio di Marie-Jo Bonnet, che decostruisce acutamente la connotazione denigratoria di julot nel contesto del campo di concentramento di Ravensbrück. Il termine sembra a tutta prima indicare le "pappone" tedesche, ma in conclusione della sua analisi l'autrice può avanzare l'ipotesi che fosse l'intero campo della sessualità tra donne a venire accomunato sotto quella definizione, associando l'omosessualità e la prostituzione. Tuttavia Bonnet si domanda anche se la figura della julot non sia una specie di cortina fumogena dietro la quale potessero essere vissuti sentimenti d'amore. Un intrico di passioni, calunnie, odi emerge infatti in parecchi saggi, svelando casi di lesbicofobia, soprattutto da parte delle recluse politiche; è questo mondo dell'intersoggettività sofferente e conflittuale in situazioni estreme che dovrà essere ulteriormente studiato e compreso in prospettiva storica.
Un ulteriore punto di interesse è quello in cui la dimensione comparativa tra i diversi paesi viene tematizzata, come accade direttamente soltanto nel saggio di Raquel Osborne, che addita le molteplici somiglianze fra due istituzioni totali: il mondo dei campi di concentramento nazisti per donne e le carceri femminili spagnole del primo periodo franchista. Osborne prende avvio da un'impostazione foucaultiana, nel senso di una concettualizzazione della micropolitica e della penetrazione nel tessuto sociale del dispositivo della sessualità, individuando nell'autorepressione sessuale una linea di difesa fondamentale. Ciò appare di particolare rilevanza al fine di rompere le barriere tra le istituzioni separate e la società nel suo complesso, in special modo, ma non soltanto, durante i periodi di repressione totalitaria. In una direzione simile vanno le ripetute sottolineature, nel corso del libro, della similarità del destino tra donne che compivano scelte lesbiche e donne di cui non si conoscevano le scelte sessuali o che mettevano in atto scelte eteronormative. Può essere intesa in questo senso per esempio l'osservazione di Vincenza Scuderi secondo cui il grande successo del film Mädchen in Uniform (Ragazze in uniforme) del 1931 era stato decretato da un pubblico amplissimo e non esclusivamente omosessuale.
Dalle pagine di questo libro emerge una folla di donne note e poco note, da Margarete Buber-Neumann, la scrittrice comunista amica di Milena Jesenská, che ha testimoniato nel libro dedicato a quest'ultima sulle relazioni d'amore tra le donne nel campo di Ravensbrück, all'attrice di origine tedesca Dorothea Neff che salvò la vita di una costumista ebrea che rischiava la deportazione, nascondendola nella propria casa a Vienna. Tuttavia, in molti saggi l'intento documentario sopraffà ancora la potenzialità analitica, privilegiando un approccio storico descrittivo che punta soprattutto sulla rivelazione di storie finora inedite o poco conosciute. Così ad esempio la natura dei reticoli - o "cerchie di amiche", come vengono definite - potrebbe essere esplorata analiticamente e prestarsi a qualche formalizzazione qualitativa, ma non è stata sottoposta a un'analisi sufficientemente articolata. Molti documenti di grande rilevanza storica sono semplicemente presentati con lunghe citazioni dall'originale, come una lettera di denuncia alla Centrale della Polizia Politica di Francoforte del 1936 su "una relazione di dipendenza sessuale (lesbica)" tra "la bionda Hedi", di 22-23 anni, "molto distinta" e la signora K., moglie divorziata di un membro delle SS, mentre anche solo l'analisi del linguaggio avrebbe offerto molti spunti interessanti. Proprio questo libro, presentandoci un bilancio degli studi nel settore, dimostra che è assolutamente urgente andare oltre l'intento di rompere il silenzio sulle "vittime dimenticate" e la constatazione che le lesbiche "nel migliore dei casi tacessero sulla loro relazione lesbica, nel peggiore la negassero". Il "non dire" rivela anche le contraddizioni nelle quali si dovettero dibattere le donne discriminate a causa delle loro scelte sessuali e politiche: i punti alti di questa raccolta sono quelli in cui tale complessa mescolanza viene svelata e restituita alla nostra memoria, con empatia per la forza delle donne del passato e pietas per le loro sofferenze, comprese quelle causate dai conflitti tra di loro.



Casablanca, maggio 2010

Recensione
di Marina La Farina

La parola Resistenza evoca immediatamente il combattere.E le lesbiche sono combattenti: "chiamiamo combattere il tempo che consacriamo alla realtà (...) e anche combattere la sensazione che consiste nel riconoscere le proprie emozioni" (Nicole Brossard, La lettera aerea, Estro, Firenze 1990).?Abituate a resistere, abituate a combattere, perché per le lesbiche la stessa esistenza può essere considerata una forma di resistenza (all'eterosessualità obbligatoria, alla cancellazione di sé e delle proprie passioni), ancor più in periodi di forzata normalizzazione di tutte le donne come furono quelli dei fascismi europei.?Su questi cardini poggia il bel volume dal titolo citato in apertura, R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista (a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi, Ombre Corte, Verona 2010). Si tratta di una serie di saggi di studiose del lesbismo italiane e straniere che colmano una delle tante lacune della ricerca storica europea - quella ufficiale "fortemente condizionata da istanze maschili-bianche" come scrivono le curatrici, dove "le reti accademiche non sembrano certo distinguersi nell'investire sensibilità ed energie sulla storia dei soggetti 'altri' quali le lesbiche sono indubbiamente" - portando alla luce biografie e vicende di un corpo - corpo lesbico - e del sesso che lo abita. ?Un lungo elenco di nomi, fatti, luoghi, relazioni, legami personali e politici che le autrici - oltre le curatrici, le studiose Claudia Schoppmann, Ilse Kokula, Marie Jo-Bonnet, Raquel Osborne - ci offrono disegnando un quadro della Resistenza esplicitamente politica di lesbiche che combatterono con coraggio, consapevolezza e determinazione le dittature di Hitler, Mussolini e Franco; fra queste, oltre alle già note Claude Cahun e Frieda Belinfante, anche Mopsa Sternheim, alla quale è dedicato un saggio monografico di Ines Rieder.?Oltre alle protagoniste sopracitate che aderirono a un antifascismo organizzato, si segnala nel libro l'esistenza di altre forme di resistenza, meno ufficiale, un "antifascismo esistenziale" come rifiuto di vivere in conformità con le regole imposte dal regime, frutto di un dissenso che ha le sue radici nell'espressione stessa del desiderio di una donna per un'altra, la cui intensità "assomiglia a una forza per mezzo della quale superiamo la misura ordinaria, la norma" (N. Brossard, op. cit.). Desiderio che si espresse anche nei campi di concentramento nazisti e nelle carceri franchiste di cui rimane esile traccia, sparizione determinata dalla rimozione che ne è stata fatta.?Un approfondimento culturale e politico, questa raccolta di saggi, che nasce fuori dall'ambito accademico ma si nutre di quel desiderio e di quella forza che appunto supera la misura ordinaria, dando alle ricerche in oggetto un surplus di valore anche rispetto ad analoghe ricostruzioni pubblicate all'estero dove grazie ai gender studies la ricerca è sostenuta finanziariamente.?E mentre si tenta ancora una volta di "pacificare" il passato, scambiando visite di cortesia con Casa Pound, la pubblicazione di questo testo, affermazione del desiderio di fare una ricerca su di noi, diventa una risposta al lassismo culturale: le radici di persecuzione e di morte non possono trovare "ragioni".



www.nuovasocietà.it
R/esistenze lesbiche sotto il nazifascismo

di Elena Romanello

Solo negli ultimi anni si è cominciato a parlare delle altre vittime del nazismo e del fascismo oltre agli ebrei e agli oppositori del regime, gli appartenenti a religioni minoritarie, i malati cronici e gli omosessuali, privilegiando però la persecuzione contro gli uomini gay, quando anche le donne lesbiche vennero internate e uccise.
La casa editrice Ombre corte pubblica nella sua collana Documenta il saggio R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista, a cura di Paola Guazzo, già coautrice de Il movimento delle lesbiche in Italia, di Ines Rieder, ricercatrice storica, e di Vincenza Scuderi, ricercatrice di Lingua tedesca e traduzione presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Catania.
Il libro è frutto di un lavoro corale sulle poche fonti e testimonianze di cui si dispone ed è incentrato sulle esistenze e resistenze lesbiche nell'Europa dei nazifascismi, inclusa la Spagna franchista. Nuovasocietà ha sentito una delle autrici, Paola Guazzo, per discutere di quello che è un contributo per ora abbastanza unico nella storiografia italiana.

Si parla sempre, giustamente, delle persecuzioni naziste contro gli ebrei, ma poco delle altre persone che perseguitarono. Perché, secondo lei, riferendosi soprattutto agli omosessuali?

In verità da almeno una decina d'anni si è cominciata ad approfondire la ricerca sui numerosi gruppi internati e perseguitati dai nazisti: dai rom e sinti, agli "asociali", agli omosessuali. In Italia per esempio è uscito qualche anno fa Altri olocausti di Claudio Vercelli (Giuntina), che parla di questi gruppi, anche se non approfondisce la questione lesbica. Non direi quindi che ci sia solo silenzio attorno alla storia delle persecuzioni gay e lesbica; ci sono anche una serie di commemorazioni per il giorno della memoria e in altre date, nel nostro paese. C'è semmai, da parte della cultura mainstream, un "girare la testa" rispetto alla storia delle cosiddette devianze e della loro persecuzione, ma questo è un problema che riguarda lo stato di arretratezza culturale del nostro paese nell'epoca del berlusconismo, e che riguarda, a vari livelli, anche la storia delle donne e dei migranti.

Che tipo di informazione si potrebbe fare per contrastare il revisionismo e il negazionismo?

Non sono informata sulla specificità di un revisionismo o negazionismo riguardanti la questione lesbica, tuttavia senz'altro esisterà, dato che ciò che la realtà supera spesso la nostra peggiore immaginazione. Tuttavia la storia delle lesbiche esce da un silenzio che non è solo agito da categorie aberranti come queste, ma anche da chi, molto più letto ed ascoltato, ha scritto la storia degli oppressi e delle minoranze articolandola solo su paradigmi maschili, eterosessuali e bianchi. Cosa possiamo fare? Lavorare, lavorare, lavorare, curando libri come quello a cui umilmente Ines Rieder, Enza Scuderi ed io ci siamo dedicate per un periodo della nostra vita.

Come è arrivata ad occuparsi delle resistenze omosessuali al nazismo e come si è documentata?

Mi sono sempre interessata alla storia dei nazifascismi e a quella del movimento lesbico, del quale faccio parte, quindi direi che questo interesse è nato con me. Esiste una documentazione ormai abbastanza ricca, a livello europeo e transatlantico, poi qualcosa lo fa anche il leggere voracemente documenti e testi femminili alla ricerca di tracce lesbiche e il "fiuto" della ricercatrice. Voglio in particolare ringraziare, parlando di Biblioteche di donne, Roberta Ricci del Centro di Documentazione delle Donne di Bologna.

C'è qualche Paese straniero dove se ne parla di più?

Sicuramente nella maggior parte dei paesi europei, specie in Germania, Francia, Olanda, Austria, ma anche un paese cattolico latino come la Spagna produce più di noi a livello di teoria e storia lesbica. D'altronde in Italia non si pone solo il problema della carenza di storia lesbica , mi pare, oggi. Vivere in un paese familista, anti-femminista e ipocrita, dove i diritti delle donne e delle lesbiche sono continuamente messi in discussione ha un suo peso, ma lo ha - per fortuna - anche la nostra r/esistenza. Vivo e lavoro per il giorno della nostra riemersione e della nostra vittoria contro la barbarie berlusconiana, post-fascista e vaticana. Possiamo farcela. Anche il nostro libro lesbico europeo, partendo da questo paese, sembrava all'inizio un'impresa quasi irrealizzabile, ma adesso è qui, ad aiutarci a fare blocco contro la zona nera che ci assedia.



TraMe
http://centrotrame.wordpress.com/

6 settembre 2010
Storia della persecuzione delle lesbiche sotto il nazifascismo: la fine di una damnatio memoriae?
di Daniele Salerno

Di R/esistenze lesbiche nell'Europa antifascista - raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi - ci eravamo soffermati qualche mese fa in occasione della giornata che ricorda i fatti di Stonewall. Il libro arriva a tre anni dalla pubblicazione del primo lavoro sulla storia lesbica italiana e a due dal primo convegno sull'argomento, come ci ricorda Guazzo nel suo saggio. Si tratta quindi di uno dei primissimi frutti di un lavoro storiografico e di ricerca che, a 65 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale è, almeno per l'Italia e la Spagna, ancora agli inizi.
Gli otto saggi raccolti fanno proprio il punto sull'indagine riguardante la storia delle lesbiche in Germania, Austria, Spagna e Italia (con frequenti riferimenti alla situazione francese) che seguono in particolare due direzioni: la raccolta e lo studio della testimonianza nelle sue varie forme (in una corsa contro il tempo, per quanto riguarda le testimonianze orali, vista l'età avanzata delle superstiti) e quello delle forme istituzionali assunte dall'oppressione esercitata verso le lesbiche. Com'è possibile che gli studi e le ricerche di storia del lesbismo siano cominciati con tanto ritardo? Dalla lettura dei saggi raccolti in questo libro - e in particolare di quelli di Schoppmann e Kokula che ricostruiscono la storia delle lesbiche in Germania dall'Impero alla Seconda Guerra mondiale - possiamo avanzare una ipotesi: la legislazione nazista, non prevedendo esplicitamente un paragrafo del codice penale contro le lesbiche, ha funzionato di fatto come una forma di damnatio memoriae da cui solo ora si sta uscendo.
La rimozione del soggetto lesbico nella legislazione nazista ha prodotto infatti due conseguenze: dal lato del lavoro dello storico ha prodotto la difficoltà di riconoscere e tracciare, a partire dai documenti, una storia delle lesbiche sotto i regimi nazifascisti, dato che questo soggetto, al contrario dei gay nominati come 175 (paragrafo del codice penale tedesco contro l'omosessualità maschile), giuridicamente non esisteva; dall'altro lato il sistema classificatorio giuridico e concentrazionario nazista ha modellato il sistema classificatorio della giustizia di transizione: chi non era esplicitamente nominato nei documenti e nelle forme classificatorie dei campi di concentramento (i triangoli di vario colore, tristemente noti) ha avuto difficoltà nel dopoguerra a costituirsi ed essere riconosciuto dagli stati europei come vittima dei regimi nazifascisti. Da qui i ritardi nel riconoscimento: solo nel 1987 nel parlamento di Bonn furono ascoltate delle vittime del Nazismo nella loro qualità di lesbiche; e solo nel 1996 in Francia alla Fondazione per la Memoria della Deportazione venne dato il compito di vagliare la storia dei soggetti omosessuali durante Vichy.
La raccolta di saggi oltre a costituire un corpus di studi fondamentale per costruire una solida storiografia lesbica ha, a mio avviso, anche un altro grande pregio: la prospettiva europea e transnazionale, come dimostrano le nazionalità delle autrici dei saggi. Questo ha permesso di vedere quanto lo stigma dell'identità lesbica fosse interiorizzato sia dalle stesse lesbiche sia dalle militanti antifasciste in chiave antitedesca. L'analisi e lo studio dell'universo concentrazionario di Ravensbrück - di Bonnet e di Osborne - il più grande campo di concentramento femminile nazista, mette proprio in evidenza quanto l'identità lesbica fosse un'ombra da proiettare continuamente, da parte francese e spagnola, sul nemico tedesco.
Se dobbiamo individuare un limite che purtroppo si avverte nella lettura di questa raccolta è proprio la mancanza di sistematicità e di una visione che tenga unito il quadro generale. Se si eccettua il tentativo di Guazzo di tracciare una tipologia delle esistenze lesbiche in Italia, spesso si percepisce un accumulo di storie e di particolari da cui non si riesce a ricavare una visione d'insieme. Un limite forse proprio dovuto alla scarsità di opere teoriche generali su cui appoggiare questi saggi. D'altra parte questo rischio pare essere già previsto dalle stesse curatrici: l'obiettivo che queste si pongono è appunto fare massa critica di ricerche e lavori al fine di avviare e fare crescere questo nuovo filone di ricerca. R/esistenze lesbiche quindi passa il testimone, e i suoi testimoni, a chi vorrà seguire, nella costruzione di un campo di indagine di cui questo libro, tra i pochi, ha il merito di tracciare i contorni.



---------------------------------------- A rivista, 57, novembre 2010

Non puoi fermare il vento: la vita delle lesbiche durante il nazifascismo
di Francesca Palazzi Arduini

"La ragione per la punibilità della sessualità lesbica è data dal (...) ribaltamento del naturale sentire delle donne, dall'alienazione che così si viene a provocare rispetto al loro naturale destino di mogli e di madri e dall'alterazione e dal danno alla vita della comunità nazionale che così si vengono a produrre". (Rudolf Klare, giurista e sergente SS, 1937). Questa citazione, tratta dal saggio di Claudia Schoppman presente nel recente "R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista" (Ombre corte 2010), oltre a somigliare in maniera scontata ma inquietante alle teorie della destra cattolica italiana attuale, ci introduce al discorso della punizione dell'omosessualità durante il nazifascismo. Punibilità che ha differenziato i gay dalle lesbiche: solo in Austria infatti le lesbiche sono state nominate nel paragrafo 129 del codice penale (attivo sino al 1971!), mentre in Germania il paragrafo omofobo 175 (attivo a est fino al 1957 ed a ovest sino al 1968) non nominava le donne. Anche l'Inghilterra, oltretutto, si è distinta per la penalizzazione dell'omosessualità, ma parlamentari conservatori non riuscirono, nel 1921, a introdurre la punibilità anche per le donne.
?L'invisibilità delle lesbiche continua quindi anche durante il più cruento delirio di normalizzazione europeo. Come esseri non inclusi nel bestiario e invisibili anche allo specchio, noi lesbiche indirizzate ai campi di concentramento veniamo definite in altro modo: ebree, asociali, prigioniere politiche, prostitute... . "..Il pericolo di venire denunciati per -atti osceni- era maggiore per gli uomini che per le donne. Da un lato, perché gli uomini spesso cercavano i partner nei parchi o nei bagni, il che portava a numerose delazioni. Dall' altro lato, perché gli atti sessuali compiuti dalle donne, al contrario, si svolgevano generalmente in spazi domestici, cosa che offriva loro grande protezione."??La repressione dell'omosessualità in Germania era iniziata più crudamente verso la fine degli anni di Weimar, poi, nel 1933, vennero chiusi tutti i locali "sospetti", con pubblicazione sulla stampa degli indirizzi vie tati. Solo nel 1936, brevemente, si riacconsentì l'apertura dei locali berlinesi per dare l'impressione durante le Olimpiadi che la città non fosse sotto il maglio della censura.
?La diffusione e naturalezza del desiderio produce esistenze differenti in ogni classe sociale, così gli esempi, faticosamente tratti dagli archivi e confluiti in questi preziosi otto saggi, sono infiniti: dalle lesbiche ebree alle donne internate nei campi come asociali, alle intellettuali a quelle prive di formazione politica, alle "julot" lesbiche, donne che nei campi di concentramento usano il proprio corpo per ottenere migliori accomodamenti. Lotta politica e lesbismo si scontrano in un'atmosfera di guerra che, se da un lato favorisce l'uscita delle donne dai ruoli predefiniti (aumento del numero delle operaie, vita militare ecc.), dall'altro stigmatizza in tutti gli schieramenti l'esibizione dell'orientamento sessuale, anche nella Resistenza: lo racconta Raquel Osborne nel suo saggio "Le monache rosse. La visione delle prigioniere politiche rispetto alle relazioni lesbiche nei campi di concentramento nazisti e nelle carceri franchiste": "Tra di noi, la compagna stessa che viveva l'esperienza del lesbismo si emarginava da sola (...)", oppure, come per smentire l'ideologia del "rosso degenerato" diffusa dai franchisti, esse venivano segregate dalle loro stesse compagne, le "monache" dedite anima e corpo alla causa del loro partito.??Il pericolo posto in causa da donne che si sottraggono per istinto all'economia sessuale maschile, dicevamo, non è nominato o a seconda dei casi incluso dai nazisti in un maniacale compendio di biopolitica, che include le lesbiche prive di risorse mimetiche (escludendo quindi quelle che si proteggevano con matrimoni combinati) in una strategia di segregazione "sanitaria"che le accomuna alle donne mentalmente sofferenti, a vagabonde e renitenti al lavoro, a coloro che trascurano la casa e la famiglia. Tutte "incorreggibili" che venivano sottoposte a durissime punizioni corporali, iniezioni di apomorfina e sterilizzazione coatta.??E' una scelta giusta e significativa che le autrici abbiano scelto per questo libro la parola R/esistenze, perché, come spiegano nell'introduzione, la nostra stessa vita era (ed in molti casi è ancora) una resistenza ai tentativi continui di negare il nostro stesso essere al mondo.
A queste sorti si sottrassero le tante donne volontariamente esiliate che condussero tra l'altro importanti ruoli nella Resistenza, come l'affascinante Mopsa Sternheim, arrestata nel 1943 a Parigi, torturata dalla Gestapo (estrazione dei denti), la quale per resistere moralmente al campo, nel quale si distinse per la forza e la cura delle compagne malate... faceva a mente la lista dei suoi amori e delle loro qualità.?Mentre la Kripo, la"Centrale del Reich per la lotta all'omosessualità e all'aborto" compiva il suo sporco mestiere, le lesbiche sopravvivevano anche grazie al Sistema, come racconta una lesbica berlinese che, trasferita in una piccola azienda del nord ricorda: "Ai tempi del nazismo ho vissuto i flirt più incantevoli della mia vita. E per giunta durante il servizio obbligatorio al deposito di munizioni...". ?Tanti i preziosi contributi del libro per quello che riguarda le lesbiche italiane: l'annotare l'esistenza lesbica nelle citazioni brevi e spesso vaghe degli intellettuali d'allora (Mario Tobino, Luce d'Eramo, Gianpaolo Pansa, Vasco Pratolini, Enzo Biagi), la sottolineatura del rapporto tra lesbiche italiane e istituzioni culturali proto-femministe del tempo, ed anche sportive, come l'Accademia di educazione fisica femminile di Orvieto fondata nel 1932 per volere fascista e diventata per contrappasso un punto d'incontro delle lesbiche integrate e amanti della... fitness. Quando si dice: non puoi fermare il vento.



TraMe - Centro di studi interdisciplinare su memorie e traumi culturali - 6 settembre 2010

Storia della persecuzione delle lesbiche sotto il nazifascismo: la fine di una damnatio memoriae?
di Daniele Salerno

Di R/esistenze lesbiche nell'Europa antifascista - raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi - ci eravamo soffermati qualche mese fa in occasione della giornata che ricorda i fatti di Stonewall. Il libro arriva a tre anni dalla pubblicazione del primo lavoro sulla storia lesbica italiana e a due dal primo convegno sull'argomento, come ci ricorda Guazzo nel suo saggio. Si tratta quindi di uno dei primissimi frutti di un lavoro storiografico e di ricerca che, a 65 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale è, almeno per l'Italia e la Spagna, ancora agli inizi.
Gli otto saggi raccolti fanno proprio il punto sull'indagine riguardante la storia delle lesbiche in Germania, Austria, Spagna e Italia (con frequenti riferimenti alla situazione francese) che seguono in particolare due direzioni: la raccolta e lo studio della testimonianza nelle sue varie forme (in una corsa contro il tempo, per quanto riguarda le testimonianze orali, vista l'età avanzata delle superstiti) e quello delle forme istituzionali assunte dall'oppressione esercitata verso le lesbiche. Com'è possibile che gli studi e le ricerche di storia del lesbismo siano cominciati con tanto ritardo? Dalla lettura dei saggi raccolti in questo libro - e in particolare di quelli di Schoppmann e Kokula che ricostruiscono la storia delle lesbiche in Germania dall'Impero alla Seconda Guerra mondiale - possiamo avanzare una ipotesi: la legislazione nazista, non prevedendo esplicitamente un paragrafo del codice penale contro le lesbiche, ha funzionato di fatto come una forma di damnatio memoriae da cui solo ora si sta uscendo.
La rimozione del soggetto lesbico nella legislazione nazista ha prodotto infatti due conseguenze: dal lato del lavoro dello storico ha prodotto la difficoltà di riconoscere e tracciare, a partire dai documenti, una storia delle lesbiche sotto i regimi nazifascisti, dato che questo soggetto, al contrario dei gay nominati come 175 (paragrafo del codice penale tedesco contro l'omosessualità maschile), giuridicamente non esisteva; dall'altro lato il sistema classificatorio giuridico e concentrazionario nazista ha modellato il sistema classificatorio della giustizia di transizione: chi non era esplicitamente nominato nei documenti e nelle forme classificatorie dei campi di concentramento (i triangoli di vario colore, tristemente noti) ha avuto difficoltà nel dopoguerra a costituirsi ed essere riconosciuto dagli stati europei come vittima dei regimi nazifascisti. Da qui i ritardi nel riconoscimento: solo nel 1987 nel parlamento di Bonn furono ascoltate delle vittime del Nazismo nella loro qualità di lesbiche; e solo nel 1996 in Francia alla Fondazione per la Memoria della Deportazione venne dato il compito di vagliare la storia dei soggetti omosessuali durante Vichy.
La raccolta di saggi oltre a costituire un corpus di studi fondamentale per costruire una solida storiografia lesbica ha, a mio avviso, anche un altro grande pregio: la prospettiva europea e transnazionale, come dimostrano le nazionalità delle autrici dei saggi. Questo ha permesso di vedere quanto lo stigma dell'identità lesbica fosse interiorizzato sia dalle stesse lesbiche sia dalle militanti antifasciste in chiave antitedesca. L'analisi e lo studio dell'universo concentrazionario di Ravensbrück - di Bonnet e di Osborne - il più grande campo di concentramento femminile nazista, mette proprio in evidenza quanto l'identità lesbica fosse un'ombra da proiettare continuamente, da parte francese e spagnola, sul nemico tedesco.
Se dobbiamo individuare un limite che purtroppo si avverte nella lettura di questa raccolta è proprio la mancanza di sistematicità e di una visione che tenga unito il quadro generale. Se si eccettua il tentativo di Guazzo di tracciare una tipologia delle esistenze lesbiche in Italia, spesso si percepisce un accumulo di storie e di particolari da cui non si riesce a ricavare una visione d'insieme. Un limite forse proprio dovuto alla scarsità di opere teoriche generali su cui appoggiare questi saggi. D'altra parte questo rischio pare essere già previsto dalle stesse curatrici: l'obiettivo che queste si pongono è appunto fare massa critica di ricerche e lavori al fine di avviare e fare crescere questo nuovo filone di ricerca. R/esistenze lesbiche quindi passa il testimone, e i suoi testimoni, a chi vorrà seguire, nella costruzione di un campo di indagine di cui questo libro, tra i pochi, ha il merito di tracciare i contorni.






Tutti i diritti riservati. Copyright © 2005 ombre corte edizioni
Via Alessandro Poerio, 9 - 37124 Verona - Tel. e Fax 045 8301735