Marcello Tarì
Movimenti dell'Ingovernabile
Dai controvertici alle lotte metropolitane
 
il manifesto - 26 aprile 2008

Ùna ricostruzione e una lettura critica delle mobilitazioni a Rostock contro il G8. «Movimenti dell'ingovernabile» dello studioso Marcello Tarì
Insieme e distinti nel giro di boa oltre la zona rossa
di Andrea Russo

Movimenti dell'Ingovernabile (Ombre corte, pp. 160, euro 14) è il testo di un giovane studioso italiano, Marcello Tarì - arricchito dai contributi di Nicola Mancini, Vittorio Sergi, John Holloway e Toni Negri, che ne firma la postfazione - attorno alle contestazioni al G8 nel 2007. Secondo l'autore, le mobilitazioni a Rostock segnano una discontinuità rispetto al cosiddetto movimento no-global. Un vero e proprio giro di boa, un mutamento di rotta che pone il problema di comprendere in cosa consista questo «salto qualitativo». Questo è il rompicapo del libro, che come tale si pone alla riflessione e alla interrogazione di altri.
Nel saggio centrale, scritto come una specie di manuale di agitazione rivoluzionaria, Tarì rimarca come le lotte metropolitane nelle banlieus e dei giovani francesi contro il «Contratto di primo impiego», accanto a quelle che si sono svolte a Copenaghen in relazione alla distruzione del centro sociale Ungdomshuset, siano state i prolegomeni delle proteste anti-G8. L'«attacco» e il «blocco», cioè le due principali forme di azione diretta praticate attorno alla zona rossa di Rostock, sono da considerare il risultato dell'accumulo di un'esperienza derivante dai conflitti e rivolte che hanno segnato le metropoli europee in questi ultimi anni.
In Germania, inoltre, riot, tattica delle cinque dita, marcia pink, street parade, disobbedienza attiva, sono forme di azione diretta praticate in forma «mista», visto che hanno vista la partecipazione di attivisti di gruppi e organizzazioni tra loro eterogenei. È questa attitudine non identitaria ad aver costituito, secondo l'autore, la vera novità nella costruzione di questo «evento di lotta», che indica anche un'indicazione più generale, qualcosa che attiene a una dimensione strategica dell'agire di «un movimento». Secondo Tarì procedere attraverso unificazioni, mediazioni e sintesi è sempre un gioco al ribasso che inibisce l'azione politica, mentre la ricerca di una articolazione tra forme di vita antagoniste è sempre protesa a un aumento della «potenza complessiva della sovversione».
Con l'accerchiamento di Heligendamm e la resistenza offensiva esercitata a Rostock, si manifesta dunque l'apparire delle condizioni di possibilità di un movimento autonomo capace di tenere insieme le differenze e di esaltarle nell'azione. In Germania, la creazione di una «macchina da guerra» mista e comune ha offerto dunque indicazioni fondamentali per pensare al come dell'organizzazione politica autonoma metropolitana del XXI secolo.
Il metodo è quello della molteplicità; della differenza; dell'orizzontalità; del preferire i flussi alle unità; dell'introduzione del desiderio nel pensiero, nel discorso, nell'azione. A questo punto qualcuno esclamerà: «Niente di nuovo! Non state facendo altro che ripetere asfitticamente Foucault, Deleuze e Guattari». In realtà, sostiene l'autore, troppe volte abbiamo sentito ripetere, da sofisticati ermeneuti di Foucault, Deleuze, Guattari, lezioni di teoria radicale: si tratta ora di praticarla.
Se si legge questo libro dall'inizio alla fine si potrà facilmente cogliere la determinanzione con cui Tarì cerca di tradurre il pensiero della differenza e della molteplicità in una pratica conseguente. Foucault, Deleuze, Guattari, come altri teorici «radicali», vengono da lui citati nel «mezzo della battaglia»: «In fondo, sono sempre le lotte che citano i grandi autori rivoluzionari, così come sono le rivolte che ne anticipano i linguaggi e i ragionamenti».
Un libro dunque di ricerca, dove la proposta politica a favore dell'autonomia dei movimenti è pensata anche come una proposta di «meta-antropologia», cioè una pratica di vita non fissata dalla norma, bensì da uno strappo violento che è anzitutto percepibile nella decostruzione/distruzione dell'individuo e della società del capitale: «Autonomia è il ritrovarsi insieme delle molteplicità sulla prima linea di combattimento, quella disposta offensivamente contro ogni forma di identità e proprietà (che sono, in fondo, sinonimi)». Per questo, secondo l'autore, l'estensione e l'approfondimento delle lotte autonome nella metropoli potrà costituire il «piano di consistenza» adeguato a una politica radicale.



Liberazione - 23 maggio 2008

"Movimenti dell'ingovernabile". Un po' di astrattezza ma le domande sono giuste

di Federico Tomasello

Marcello Tarì è eclettico e nomade ricercatore sociale, lo abbiamo conosciuto in questi anni guardando ai percorsi di Uninomade e della rivista Posse impegnato in un lavoro di critica e decostruzione della rappresentanza politica. Oggi l'oggetto di osservazione cambia e si concentra sui movimenti, dentro di essi e dalla loro parte. Il libro Movimenti dell'ingovernabile (Ombre Corte, pp.160, euro 14) ruota intorno all'ambiziosa domanda "cos'è un movimento?". Un'operazione complessa ma certamente interessante ed utile in tempi in cui la forza della crisi - se non dell'eclissi - della politica rappresentativa e delle sue forme organizzate rischia di lasciare in ombra la riflessione su difficoltà e virtù di quella multiforme e spesso invisibile galassia che potremmo chiamare movimento o movimenti.
Tarì tenta questo difficile lavoro a partire da un fatto importante e un po' sottovalutato dalle nostre parti: nel giugno 2007, quando la sinistra nostrana era impegnata a discutere e dividersi su come accogliere il presidente Bush a Roma, nella sconosciuta località di Heiligendamm, nei pressi di Rostock, il cosiddetto movimento no-global - di cui molti si erano precipitati a dichiarare la morte e celebrare il funerale - consumava la sua più inaspettata e piratesca vittoria contro il nemico di sempre, un G8 in crisi verticale di potere e di consenso. Quali le caratteristiche di quella straordinaria mobilitazione? Quali le linee di continuità? Quali le tracce di novità e discontinuità? Queste le domande a cui Tarì prova a rispondere con un tono declamatorio che ricorda l'incedere del linguaggio operaista da una parte ed un foglio di agitazione sociale dall'altra.
Il tema delle forme-di-vita è decisivo nella costruzione di movimenti che necessariamente si costituiscono a partire da una tensione alla separazione, all'autonomia, a partire dal linguaggio stesso. E' il rifiuto della "cultura" intesa come «il dispositivo attraverso il quale si cerca di far credere … che sia sempre possibile mediare l'irriducibile nell'universale, di annullare la singolarità nell'umanesimo, di dissolvere il comune nella democrazia reale, di pensare la forma-di-vita come fosse una proprietà privata da gestire e amministrare. E' per questo che la massima espressione della cultura occidentale è lo Stato». E' per questo che «ogni forma di vita che non si preoccupi di come organizzarsi contro il potere è per il potere». Se è vero che un movimento nasce sempre da una "urgenza", il tema di fondo che finisce per interrogare la sua evoluzione è quello di come riqualificare tutti i mezzi della lotta operaia (che erano in grado di bloccare la produzione e danneggiare il capitale) dentro la fabbrica della comunicazione integrata, sabotandola fino ad interromperla, e in quella fabbrica sociale che è la metropoli.
Bisogna domandarsi come essere controvertice senza aspettare il vertice, come anticipare il capitale in modo da non essere semplicemente reattivi ad esso, come articolare la potenza delle contestazioni ai vertici spostandolo sull'asse della vita fin dentro la filiera metropolitana. Questo è l'orizzonte vero della riflessione, un interrogativo da cui non si può uscire se non attraverso l'azione. Nel ciclo di lotte francesi del 2005-06 prima nelle banlieues e poi in tutta la metropoli contro il Cpe, così come nella mobilitazione che ha bloccato Copenaghen dopo lo sgombero del centro sociale Ungdomshuset, Tarì riconosce una traccia di questa possibilità. Lo si può riscontrare nei nei blog così come «tramite una tecnica mista composta dai blocchi della circolazione, dai blitz mordi e fuggi, dalle assemblee volanti … dalla tendenza alla viralità, dall'assenza di rappresentanza politica e dall'espressione immediata della potenza».
Il testo non risparmia strali contro la "sinistra ri-educata", il militantismo triste ed i burocrati che spesso popolano i movimenti ed odora fortemente di suggestioni deleuziane e foucaultiane… «non dovete immaginare che bisogna essere tristi per essere dei militanti, anche se la cosa che si combatte è abominevole». Forte è l'influenza di Toni Negri (le citazioni sono però quasi tutte del Negri di 30 anni fa) che firma la bella postfazione al libro ribadendo quanto la questione centrale sia come sviluppare la lotta contro la rendita capitalista attraverso le lotte metropolitante.
Interessante e particolarmente utile a comprendere alcuni passaggi delle mobilitazioni del giugno 2007 in Germania è anche l'appendice dal titolo "Di pietre e di fiori", un colloquio epistolare in cui un curioso John Holloway cerca di capire le ragioni delle azioni del "blocco nero" a Rostock chiedendone conto ad un giovane militante italiano, Vittorio Sergi, che a quella mobilitazione aveva partecipato.
Nel testo si finisce forse per rintracciare una certa astrazione che spesso frequenta parte del pensiero postoperaista e che impedisce a Tarì di mostrare strumenti concreti in grado di fare i conti con la durezza e le difficoltà di tempi che sembrano chiudere sempre più gli spazi dei movimenti. Non vi è d'altra parte alcun dubbio che Movimenti dell'ingovernabile si ponga le domande giuste, affrontando un crinale di riflessione inesplorato quanto cogente e lasciando aperta all'elaborazione collettiva ma anche e soprattutto all'azione la costruzione di risposte adeguate.






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