RASSEGNA STAMPA
Luciano Ferrari Bravo
Alessandro Serafini
Stato e sottosviluppo
Il caso del Mezzogiorno italiano
 
pp. 190
€ 16,50
isbn 978-88-95366-00-5

Prefazione di Adelino Zanini

Il libro
"Il sottosviluppo non è soltanto il 'non-ancora' sviluppo, così come voleva già l''ottimismo' dei classici dell'economia politica che si prolunga ben addentro ai nostri giorni; ma non è neppure solo il prodotto dello sviluppo, secondo un modo statico, strutturalista, di leggerne la fisionomia, a torto ritenuta l'ultima parola del marxismo teorico su questo tema. Esso è una funzione dello sviluppo capitalistico: una sua funzione materiale e politica. Sviluppo è infatti quello del potere capitalistico sulla società nel suo insieme, del suo 'governo' della società - del suo stato".
Così, nell'Introduzione, è fissato il punto di vista generale a partire dal quale in questo libro sono esaminati gli aspetti decisivi della vicenda dell'intervento statale nel Mezzogiorno, tra gli anni '50-'60. Sia l'analisi degli aspetti istituzionali e della loro rilevanza per la forma complessiva dello stato, oggetto del saggio di Ferrari Bravo, sia l'esame del rapporto tra movimenti della forza-lavoro e sviluppo italiano, oggetto del saggio di Serafini, delineano un approccio che rompe radicalmente, anche sul piano metodologico, con l'esausta tradizione del pensiero meridionalista.
A dispetto degli anni che lo separano dalla sua prima pubblicazione, questo lavoro resta uno strumento prezioso per leggere la vicenda della pianificazione italiana e una prova altissima del metodo di ricerca operaista.

Gli autori
Luciano Ferrari Bravo (1940-2000) ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche di Padova. Tra i padri dell'operaismo, dopo oltre cinque anni di carcere preventivo, sarà prosciolto dall'accusa di insurrezione. I suoi principali scritti sono ora raccolti in Dal fordismo alla globalizzazione (manifestolibri 2001).

Alessandro Serafini (1942-1991) è stato ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche di Padova. Ha curato L'operaio multinazionale in Europa (Feltrinelli 1975). Impegnato in una ricerca sull'Europa tra Mercato comune e Cee, non la concluse per l'arresto e l'incarcerazione seguiti al 7 aprile 1979.


Dalla prefazione di Adelino Zanini

Stato e sottosviluppo. Il caso del Mezzogiorno italiano fu pubblicato nel 1972 da Feltrinelli nella collana "Materiali marxisti", curata dapprima da Sergio Bologna e Antonio Negri, poi dal Collettivo di Scienze politiche dell'Università di Padova. Sarà ristampato quattro volte (1973, 1975, 1977, 1980), per un totale di cinque edizioni e di alcune migliaia di copie: un quantitativo oggi impensabile anche per un saggio divulgativo di successo - ciò che quel libro, per di più, non era. Finirà nelle mani di ricercatori, studenti, militanti, presidenti di corte d'assise: "Lei indubbiamente ha vissuto una certa esperienza nell'arco dell'Università di Padova ed ha scritto - credo sia sua - una vecchia monografia sulla questione meridionale che mi è capitata una volta tra le mani".
Che Stato e sottosviluppo fosse capitato nelle mani anche del dottor Severino Santiapichi, e non come materiale "probatorio" di un processo monstre, non può dunque stupire. Il saggio conobbe effettivamente una circolazione significativa, proprio perché, a dispetto della sua dichiarata intenzione sovversiva, non gli si potevano negare i crismi di una ricerca scientifica seria e documentata (finanziata con fondi Cnr). Del resto, questi attributi caratterizzeranno tutti i volumi accolti nella stessa collana. Nel corso di un decennio (1972-1982), oltre ai testi prodotti nell'ambito del seminario del Collettivo di Scienze politiche, "Materiali marxisti" accoglierà, tra gli altri, scritti di G. Bock, G.P. Rawick, F. Fox Piven, R.A. Cloward, J. O'Connor, K.H. Roth, etc. Tutti - bona tempora currebant - conosceranno una diffusione significativa, divenendo strumenti fondamentali nella formazione di una generazione di militanti: e non solo, perché erano testi di studio, stricto sensu. Oggi, introvabili, sono dei classici del pensiero critico. Alla diffusione, particolarmente ampia, di Stato e sottosviluppo - composto di due saggi distinti, dedicati al tema degli istituti di programmazione in Italia e, quindi, alla vicenda complessiva del "piano" - concorse, probabilmente, anche l'oggetto dell'analisi. Pur non essendo affatto un testo inquadrabile nella infinita "quistione meridionale" , ad essa si rifaceva e d'essa dava una spiegazione del tutto inedita, senza tacere - com'è ribadito nella Nota introduttiva - "alcune effettive diversità di valutazione o di accentuazione" presenti nei due saggi che compongono il libro. Le differenze al loro interno risultano inoltre dall'approccio - per non dire della pur significativa diversa estensione. Quello di Luciano Ferrari Bravo è di tipo comparativistico, interessato a definire l'istituzionalismo giuridico sotteso alla "scelta politica", tenendosi ben lontano dall'"approccio statico proprio dei costituzionalisti". L'approccio di Alessandro Serafini è focalizzato, più semplicemente, sull'evoluzione quantitativa del mercato della forza lavoro in rapporto ai fenomeni migratori - tema su cui egli tornerà nel saggio compreso in L'operaio multinazionale in Europa (1974).
Di testo politico in ogni caso si tratta: maturato dentro e dopo il '68, indirizza una critica serrata alla proposta comunista di saldare l'alleanza tra contadini del Sud e operai del Nord; assume come propria l'ibridazione avvenuta nella nuova composizione di classe; fissa la contraddizione tra l'illusione riformistica di trattenere il "terrone" fuori dal circuito della mobilità e, contemporaneamente, il bisogno capitalistico di farne classe operaia. Fortissima e sempre argomentata la "presa di partito", il quadro d'insieme che emerge è di certo unitario, ma l'articolarsi dell'argomentazione non può che risultare, a distanza di trentacinque anni, molto diverso quanto ad efficacia.
Non mi è dato sapere - né è forse importante saperlo - quanto questa ricerca avesse contato nelle vite dei rispettivi autori. Certo è che rimarrà "il" libro a loro firma. Non meno certo è che LFB, sia pur in circostanze "costrette", ricorderà come la stesura del saggio di fatto coincidesse con il suo "banalissimo ritiro a vita privata" (primavera 1970), frutto non di una rottura politica, ma conseguente a "ragioni essenzialmente di carattere personale", alle quali era congiunto "il bisogno di concludere quella ricerca a cui lei [Presidente del collegio giudicante] ha fatto cenno [...]". A ritornare "sul carattere del tutto illusorio di questo sottrarsi al destino collettivo di una generazione", LFB sarà però costretto dall'infame accusa; se è vero, almeno, che alla mancata presenza ai cancelli di Porto Marghera fece da contrappeso un intenso lavoro universitario, finalizzato a tenere le fila della ricerca svolta all'interno dell'istituto di Scienze politiche. Insomma, il legame nella ricerca non conosce soluzioni di continuità, perché, settanta anni dopo Weber, non è dato vedere "chi possa seriamente ritenere di tranciare con un semplice fendente il mondo del lavoro intellettuale da quello dei valori politici che lo attraversano".





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