Violenta speranza

 11.00

Pietro Saitta

pp. 117
Anno 2023 (aprile)
ISBN 9788869482557

Ordina
Collana: . Tag: , , . Product ID: 3680

Descrizione

Pietro Saitta
Violenta speranza
Trap e riproduzione del “panico morale” in Italia

Circa cinquant’anni orsono il concetto di “panico morale” faceva la sua comparsa nel discorso sociologico e pubblico. Per l’ennesima volta nella storia, a partire dal secondo dopoguerra i soggetti fondamentali della riproduzione sociale – i giovani – davano forma a un dibattito e a una serie di politiche tesi a criminalizzarli, a tutelarli dai loro stessi eccessi e a difendere la società. Questo modo di trattare le nuove questioni giovanili è diventato negli anni un repertorio linguistico e d’intervento ripetitivo, che viene agitato ogni qualvolta un nuovo tratto sembra minacciare l’organizzazione sociale o quando un vecchio comportamento viene riscoperto dai produttori dei discorsi (politici, imprenditori morali, polizia, opinioni pubbliche ecc.).
Il libro analizza una di queste “riscoperte”. Ovvero un caso che, proprio come avveniva nella letteratura sociologica dei primi anni Settanta del secolo scorso, ha per oggetto una “sottocultura” giovanile: la trap. O, per meglio dire, quella terra di mezzo in cui confluiscono il neomelodico, il raggaeton e il resto dei generi contigui, declinati e intesi in chiave “criminale”. Attraverso l’analisi culturale, storica e criminologica vengono osservati i processi sociali più ampi entro cui si sviluppano queste pratiche artistiche, gli allarmi e la reazione sociale in Italia.

Pietro Saitta è professore associato di Sociologia Generale presso il Dipartimento Cospecs dell’Università di Messina. Ha lavorato e svolto attività di studio presso università e centri di ricerca italiani e internazionali. Tra i suoi lavori: Quota zero (Donzelli, 2013), The Endless Reconstruction (con Domenica Farinella, Palgrave MacMillan, 2019), Populismo urbano (Meltemi, 2022) e, per i nostri tipi, Resistenze (2015), Prendere le case (2018).

RASSEGNA STAMPA

UN ASSAGGIO

Indice

7 Introduzione

13 Capitolo primo. Panico morale

1. Panico morale e culture sociali; 2. Lingue dell’apocalisse quotidiana

25 Capitolo secondo. Reazione sociale

1. Percezioni del reale e regolazione sociale; 2. Strutture e funzioni sociali di un linguaggio

35 Capitolo terzo. Musiche “criminali”

1. Gusti in comune; 2. Individualismo e regimi della visione; 3. Cooperazione e strumentalità; 4. Autenticità e anamorfismo del controllo sociale

73 Capitolo quarto. Le trasformazioni di un concetto

1. Figure sociali della paura; 2. La richiesta sociale di sicurezza; 3. Ambiente tecnologico e produzione di pubblici; 4. Dispositivi spettacolari e reazioni sociali; 5. Continuità funzionali del panico morale; 6. Differenze

107 Bibliografia


 

Introduzione

Il pretesto per le osservazioni che seguono deriva dal cinquantesimo anniversario della pubblicazione del volume di Stanley Cohen dedicato al panico morale e ai demoni popolari, ovvero alle cause di ansia più o meno motivate che turbano l’immaginario sociale. A quei fenomeni, cioè, per cui:

Una condizione, un episodio, persone o gruppi vengono definiti come una minaccia per i valori e gli interessi della società; la loro natura è presentata in maniera stilizzata e stereotipica dai canali di comunicazione di massa; barricate morali sono erette da editori, alti prelati, politici e altri benpensanti; esperti socialmente accreditati offrono diagnosi e soluzioni; si perfezionano (o più spesso) si escogitano modi per fronteggiare il problema; la condizione successivamente scompare, si inabissa o si deteriora diventando maggiormente visibile. A volte l’oggetto del panico è inedito, mentre in altre è stato presente a lungo, ma improvvisamente si è ritrovato al centro dei riflettori. A volte il panico passa ed è dimenticato; altre volte appare più serio e ha ripercussioni di maggiore durata e può produrre mutamenti giuridici o di politica sociale, oppure avere un impatto sul mondo in cui la società si rappresenta (Cohen 1972/2002, p. 1, traduzione mia).

A decenni dalla comparsa di questa ormai classica e dibattuta definizione, il fine della presente riflessione consiste nel discutere la validità euristica del concetto (il panico morale) e la permanenza dell’oggetto (i fenomeni che generano allarme, specie quelli riferiti ai giovani) di fronte ai cambiamenti intercorsi negli scenari culturali e comunicativi. La discussione prenderà le mosse da un caso analogo a quello che servì da pretesto a Cohen: ossia da una serie di vicende che hanno simultaneamente luogo in differenti continenti e paesi, tra cui l’Italia, incentrate sulla criminalizzazione di una manifestazione culturale giovanile (una “sottocultura”, per impiegare un’espressione consolidata, ma secondo alcuni anche problematica) che ha al proprio centro i generi trap e drill. E che, nel caso italiano, si contamina frequentemente col neomelodico, ossia con un genere musicale “basso”, a lungo ritenuto confinato dentro una geografia fisica e sociale di matrice per lo più meridionale e sottoproletaria. Il neomelodico è in particolare un genere che sovrappone “le caratteristiche tecniche del canto (vetero) melodico napoletano – e della sceneggiata di “tradizione” – a ritmi pop di largo respiro internazionale” (Giusto e Russo 2017, p. 7). Nel caso in oggetto, i ritmi e le atmosfere che servono da riferimento sono per l’appunto quelli della trap e della drill, ossia rispettivamente di un genere e di un sottogenere che costituiscono un’evoluzione dell’hip hop e che si caratterizzano per un uso dei campionamenti meno ricorrente rispetto a quest’ultimo, per dei suoni generalmente profondi e cupi, per l’impiego di filtri per la voce come Auto-tune, oltre che per il carattere ipnotico e ripetitivo delle parti melodiche, che sono sostenute da ritmiche più lente rispetto al rap e all’hip hop canonici. A rigore trap e drill da un lato, e neomelodico dall’altro, andrebbero intesi come generi autonomi, solo a volte soggetti a prestiti reciproci, che appaiono però accomunati dall’impiego di liriche che si propongono di “illustrare e romanticizzare da un punto di vista interno, e per così dire ‘indigeno’, le vite, gli affetti, e l’intima fenomenologia di soggetti socialmente marginali come disoccupati, lavoratori precari, casalinghe, e studenti squattrinati; con una notevole preferenza per quelli coinvolti in attività criminali, quali gangster, sex workers di ogni orientamento di genere, latitanti, carcerati, e i loro familiari” (ibidem). Tanto la trap e la drill quanto il neomelodico sono infatti generalmente eseguiti da soggetti che amano ritrarsi come essi stessi appartenenti al mondo marginale. Inoltre, dal punto di vista sonoro, gli artisti trap e drill italiani (ma non solo loro; l’operazione è identica quantomeno nel caso delle formazioni balcaniche o spagnole) possono condurre un’operazione speculare a quella dei neomelodici, integrando, sia pure con variazioni, elementi per lo più canori propri di quest’ultimo genere.
Le osservazioni qui discusse sono ricavate da ore di ascolto di video musicali, dalla visione delle “storie” postate da differenti artisti sui social network (Youtube, Twitch, Instagram e i reel di Facebook) e dei canali online dedicati a questa sottocultura, come quello di Social Boom e degli Arcade Boyz, fondamentali, per dirla con Stuart (2020), ai fini della “disseminazione” dei contenuti (dai video strettamente musicali ai post per i canali social. Una diffusione che si svolge secondo il principio per cui più cruenti sono questi contenuti, maggiore sarà l’attenzione riservata agli artisti e ai canali – insieme di critica musicale e di gossip – che li discutano e che realizzano introiti a partire dalla visualizzazioni generate (attraverso Google AdSense e altri software per il tracciamento delle visualizzazioni, la profilazione dell’utenza e il raccordo con le inserzioni pubblicitarie). Occorre inoltre precisare che trap, drill e neomelodico hanno in realtà un proprio underground, talvolta anche ideologicamente tale, per il quale parte delle osservazioni qui presentate potrebbero non essere del tutto applicabili. Infatti la nostra discussione – in maniera genealogicamente inaccurata e senza alcun rispetto per i praticanti e i fruitori più radicali, puristi e persino “anti-commerciali” dei due generi – verterà prevalentemente sulle ricezioni che riguardano la sovrapposizione di temi, suoni e, soprattutto, etiche della presenza artistica, che da alcuni anni generano reazioni sociali da parte dell’opinione pubblica e delle agenzie di controllo. In particolare nel 2022 un ampio numero di “trapper” – un’etichetta che pongo tra virgolette perché è in realtà di un sottobosco ampio e “impuro” ciò di cui si discute – è stato coinvolto in episodi criminali che hanno colpito l’opinione pubblica e generato una sistematica osservazione da parte della polizia (“la Repubblica” 2022; 2022a).
Venendo così alla struttura del saggio, nel primo capitolo verranno analizzate permanenze e trasformazioni del concetto di panico morale nel quadro dei mutamenti culturali e congiunturali che separano il tempo presente dal momento – quello del secondo dopoguerra – in cui appaiono le moderne forme di problematizzazione e criminalizzazione della cultura giovanile osservate da Cohen.
Nel corso del secondo capitolo verranno discussi i principali canoni stilistici della reazione sociale: il modo, cioè, in cui le varianti tardo-moderne dei discorsi allarmistici sui giovani, la sicurezza e il futuro della società sono venuti strutturandosi secondo stilemi che conservano tratti di identità con le versioni precedenti, pur piegandosi alle congiunture e assumendo sfumature particolari di senso (Hebdige 1979); un senso, tuttavia, che comprende solo con grande ritardo la natura delle trasformazioni in atto.
Nel terzo capitolo verrà analizzato il modo in cui gli artisti assumono la reazione sociale per le strategie di diffusione dei propri marchi e prodotti, mettendo in moto dei meccanismi di cooptazione dell’opinione pubblica e delle agenzie di controllo resi possibili dalle regole di funzionamento della nuova società dello spettacolo; ossia a partire da possibilità tecnologiche che trasformano la gerarchia del rapporto intercorrente tra produttori professionali e istituzionali di discorsi e i destinatari dei loro messaggi (inclusi i bersagli delle campagne di criminalizzazione). Verrà mostrato in particolare come trapper e affini impieghino i social media secondo le regole di un’economia dell’attenzione che non rifugge il processo di criminalizzazione e che, al contrario, capovolge parzialmente le aspettative istituzionali, trasformando questi stessi enti in comparse di uno spettacolo organizzato dal basso.
Il quarto capitolo, infine, sarà dedicato al riepilogo e alle conclusioni circa quanto la nozione di panico morale abbia ancora da dire in merito al funzionamento dei media e al loro rapporto con la società che si intende informare e regolare.

Ti potrebbe interessare…