Sguardi interculturali. Pearl S. Buck e la Cina

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a cura di Valeria Gennero, Maria Gottardo e Junwei Yao

pp. 190
Anno 2021 (14 febbraio)
ISBN 9788869481826

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Descrizione

Sguardi interculturali. Pearl S. Buck e la Cina
A cura di Valeria Gennero, Maria Gottardo e Junwei Yao

L’ottantesimo anniversario del premio Nobel per la letteratura assegnato a Pearl S. Buck (1938), scrittrice statunitense cresciuta in Cina in una famiglia di missionari e nota soprattutto per i suoi romanzi di ambientazione cinese, è stato il punto di partenza di una serie di iniziative – convegni, mostre e presentazioni – che hanno coinvolto i tre curatori e che confluiscono nei contributi presenti in questo volume. Sguardi interculturali. Pearl S. Buck e la Cina si propone di collocare l’operazione artistica e culturale di Buck in una prospettiva transnazionale. I saggi qui raccolti offrono una lettura innovativa dell’eredità letteraria della scrittrice, mettendo in primo piano la ricezione transnazionale della sua opera e il ruolo svolto dalla letteratura nella percezione occidentale della Cina repubblicana. Viene inoltre presentata per la prima volta una selezione di ben quattro saggi di studiosi cinesi. Anche in Cina infatti Pearl S. Buck è oggi al centro di una riscoperta critica dopo anni di oblio, e questo rende particolarmente importante questa pubblicazione, in cui letteratura, storia culturale e teoria della traduzione contribuiscono a illuminare un percorso artistico di straordinaria attualità.

Valeria Gennero insegna Letteratura anglo-americana all’Università degli Studi di Bergamo. È autrice di quattro monografie e di numerosi saggi. Ha dedicato all’opera di Pearl S. Buck il volume La conquista dell’Est. Pearl S. Buck tra Stati Uniti e Cina (2008) oltre a diversi articoli comparsi su riviste scientifiche nazionali e internazionali.
Maria Gottardo insegna Lingua cinese e Storia della traduzione all’Università degli Studi di Bergamo. È autrice di saggi sulla lingua moderna cinese e, in ambito letterario, si è occupata in particolare della scrittrice Zhang Ailing, a cui ha dedicato la monografia Voci da un mondo effimero. I saggi di Zhang Ailing a Shanghai (2018).
Junwei Yao insegna presso il Dipartimento di lingue straniere dell’Università Normale di Nanchino. È uno dei massimi esperti cinesi nell’ambito degli studi buckiani: tra i tanti contributi si segnala la monografia Cultural Relativism. Pearl S. Buck and Her Presentation of Chinese and Western Cultures (2001).

Rassegna stampa

UN ASSAGGIO

Introduzione
di Valeria Gennero, Maria Gottardo e Junwei Yao

Pearl S. Buck (1892-1973) è stata la scrittrice americana più celebre del Novecento, eppure il suo nome a stento compare nelle storie della letteratura degli Stati Uniti pubblicate negli ultimi decenni. Perché? Come si è giunti a una rimozione così radicale? E quali circostanze incoraggiano oggi la riscoperta di un’autrice che, prima di venire accusata di essere dozzinale e artisticamente irri- levante, aveva collezionato i riconoscimenti critici più prestigiosi, incluso, nel 1938, il Nobel per la Letteratura?
Queste sono alcune delle domande che hanno ispirato il volu- me che qui presentiamo, una panoramica aggiornata di un fenomeno unico: la storia di una scrittrice capace di dare forma artistica alla propria esperienza di figlia di missionari presbiteriani. Vissuta in Cina nei decenni turbolenti che accompagnarono il declino dell’impero e la nascita della repubblica, Buck tornò negli Stati Uniti all’inizio degli anni Trenta. Dopo decenni caratterizzati da un successo internazionale senza pari, Buck scomparve dal novero degli autori considerati prestigiosi a livello editoriale, e infine anche dalla memoria culturale custodita e tramandata dalle istituzioni scolastiche. La sua rivalutazione degli ultimi anni ha un fasci- no particolare in virtù della sua capacità di attraversare le barriere linguistiche e nazionali.
Pearl S. Buck ha saputo tradurre in scrittura quello che lei stessa definiva “uno sguardo bifocale”, vale a dire la consapevolezza di come l’esistenza di prospettive diverse su questioni e valori, lungi dall’imporre una separazione o definire un divario, offra invece un potenziale arricchimento sia al mondo cinese, sia a quello ame- ricano. Il suo sguardo interculturale si propone esplicitamente di creare un ponte ideale tra i due paesi, e lo fa attraverso opere in cui gli stereotipi che negli Stati Uniti erano abitualmente associati ai personaggi cinesi vengono abbandonati, per fare invece emergere l’umanità e la complessità dei personaggi, come nel caso di Wang Lung e O-lan, i contadini protagonisti di The Good Earth, il primo libro di successo pubblicato da Buck. The Good Earth ottenne il premio Pulitzer nel 1931 e venne considerato il miglior romanzo del periodo 1930-35 dalla giuria della American Academy of Arts and Letters che le conferì la prestigiosa William Dean Howells Medal per la narrativa. Nel corso degli anni Trenta, Buck pubblicò altri sette romanzi, dimostrando sin dall’inizio della propria carriera una prolificità che non l’avrebbe abbandonata nei decenni successivi. Quella che sarebbe cambiata, e in modo radicale, è la reazione della critica nei confronti delle sue opere. Negli Stati Uniti gli entusiasmi iniziali avrebbero lasciato il posto, a partire dall’inizio della Guerra fredda, a un atteggiamento di irritato disdegno. Pearl S. Buck appariva fuori posto nel canone modernista: troppo lineari le sue costruzioni narrative, eccessivamente tradizionali i suoi personaggi, semplice e accessibile il suo linguaggio. Queste almeno venivano all’epoca proposte quali ragioni che sancivano l’inesorabile obsolescenza di Pearl S. Buck come scrittrice. A partire dagli anni Sessanta, le sue opere smisero di essere recensite sulle riviste letterarie, e intellettuali di grande visibilità – come Dwight Macdonald negli Stati Uniti, o, in Italia, Umberto Eco – individuarono proprio Buck quale bersaglio perfetto contro cui scagliare gli strali indirizzati alla crescente mediocrità culturale della classe media, responsabile del trionfo di opere middlebrow, caratterizzate da una godibilità austera ma rassicurante e quindi, in base ai paradigmi critici più autorevoli dell’epoca, reazionaria.