Passato prossimo

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Giuseppe Muraca

pp. 155
Anno 2019
ISBN 9788869481185

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Descrizione

Giuseppe Muraca
Passato prossimo
Letteratura, storia e politica

In più di quarant’anni di attività Giuseppe Muraca ha collaborato ad almeno una cinquantina di testate giornalistiche e di riviste, più o meno importanti. Dal suo esordio tanto tempo è passato: dall’egemonia del marxismo si è passati all’egemonia del pensiero unico e l’intellettuale ha perso la sua vecchia identità ed è diventato “massa”. In questi articoli e in queste interviste l’autore scrive, tra l’altro, di alcuni degli scrittori e degli studiosi più rappresentativi del Novecento: da Aldo Palazzeschi a Ardengo Soffici, da Carlo Muscetta a Franco Fortini, da Luciano Della Mea a Luciano Bianciardi, da Alberto Asor Rosa a Romano Luperini ecc., fino ad arrivare a Carmine Abate, un narratore del nostro tempo. I principali nodi affrontati sono il rapporto fra avanguardia e tradizione e tra politica e cultura. In tutto questo lungo arco di tempo la domanda che offre molteplici risposte è sempre la stessa: il ruolo dell’intellettuale, il suo peso nella società e il suo ruolo nel cambiamento. Temi attuali, ieri come oggi. Passato prossimo è quindi un libro da leggere, per capire il passato e il presente e per pensare a un futuro migliore, per tutti.

Giuseppe Muraca è docente di lettere e saggista. Ha fondato e diretto la rivista “L’utopia concreta” e ha fatto parte della direzione delle riviste “InOltre” e “Per il ’68” e della redazione del giornale “Ora locale”. Ha pubblicato vari libri, tra cui Utopisti ed eretici nella letteratura italiana contemporanea (Rubbettino, 2000) e Luciano Bianciardi, uno scrittore fuori dal coro (Centro di Documentazione di Pistoia, 2011); per i nostri tipi: Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici (2018). Ha collaborato e collabora a numerosi giornali e riviste, tra cui “il manifesto”, “Lotta continua”, “Il Grandevetro” e “Dalla parte del torto”.

Rassegna stampa

Dalla Parte del Torto – 27 Aprile 2019

Letteratura e critica letteraria come autobiografia
di Diego Giachetti

Dietro le pagine e tra le righe di questo libro (Giuseppe Muraca, Passato prossimo. Letteratura, storia e politica, Verona, Ombre corte, 2019) scorre la vita e la formazione culturale dell’autore, un’autobiografia che si evince dalla rassegna di temi, autori e “maestri” che compongono l’opera. La storia inizia nei primi anni Settanta, rivissuti come momento di grande fervore e di profondi e continui cambiamenti, nella città di Napoli, dove un giovane studente universitario scopre la critica letteraria e politica attraverso lo studio e il confronto nei gruppi seminariali con autori all’epoca di estrema attualità: Dieci inverni e Verifica dei poteri di Franco Fortini, Scrittori e popolo, Intellettuali e classe operaia e La cultura di Asor Rosa, Empirismo eretico e Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini, Corporale di Volponi, Ideologia e linguaggio di Edoardo Sanguineti e altri ancora… continua a leggere…

UN ASSAGGIO

Prologo
L’integrità degli intellettuali:
Leo Löwenthal e la “Scuola” di Francoforte

Negli anni sessanta e settanta il gruppo di pensatori francofortesi (specialmente Adorno, Benjamin, Marcuse e Horkheimer) ebbe anche da noi un’influenza profonda sulla cultura della sinistra e ha inciso persino sul comportamento politico e sociale di diverse generazioni di intellettuali e militanti. In questo senso intellettuali come Renato Solmi, Franco Fortini e Cesare Cases – per citarne solo alcuni – che erano redattori e collaboratori della casa editrice Einaudi, svolsero un ruolo di mediazione, d’informazione e di analisi di primaria importanza. Non è questa la sede per scrivere la storia della ricezione italiana della cosiddetta “Scuola” di Francoforte ma vale la pena ricordare che già nel 1954 l’editore torinese pubblicava tempestivamente una scelta significativa dei Minima moralia di Adorno, che però in quel momento cadde quasi nel vuoto; ancora dall’editore Einaudi veniva pubblicata nel 1962 l’importante antologia di scritti di Walter Benjamin, Angelus novus, nel 1964 Eros e civiltà di Herbert Marcuse e nel decennio successivo seguivano in riviste o in volumi altri significativi studi e traduzioni. Di quel gruppo di pensatori Leo Löwenthal è sicuramente il meno conosciuto e studiato tanto che alcuni dei suoi saggi in Italia sono stati tradotti e pubblicati da piccoli editori passando quasi inosservati e senza superare i ristretti confini degli specialisti e degli addetti ai lavori. Qualche recensore ne ha intravisto la causa nel taglio troppo “specialistico” delle sue ricerche e/o nella sua minore genialità rispetto ad Adorno, a Benjamin, a Marcuse e a Horkheimer, ma questo è vero solo in parte. In realtà Löwenthal ha svolto un ruolo di primo piano nel lavoro collettivo dell’Istituto per la ricerca sociale nel corso degli anni trenta e quaranta: non a caso Martin Jay nel suo importante volume L’immaginazione dialettica ha dedicato ampio spazio all’analisi delle sue opere e della sua attività e di recente ha addirittura scritto su di lui un saggio-intervista.
Nato a Francoforte nel 1900 e morto il 23 gennaio 1993, di origine ebraica (come tutti i suoi compagni più rappresentativi), Löwenthal studiò letteratura, storia, filosofia e sociologia a Francoforte, Heidelberg e Giessen e nel 1923 si laureò in filosofia a Francoforte con una tesi su Franz von Baader. Durante l’università frequentò gli stessi circoli di studenti radicali di Horkheimer, Pollock e di Weil ed ebbe rapporti con il gruppo di intellettuali ebrei come Martin Buber, Franz Rosenzweig, Sigfried Kracauer e Ernst Simon. Nel 1920 costituì il famoso Freies Judisches Lehrhaus (Libera Accademia ebraica) e strinse amicizia con un vecchio compagno di studi, Erich Fromm, pure lui futuro membro dell’Istituto. L’ingresso di Löwenthal nell’attività dell’Istituto avvenne nel 1926 e quattro anni dopo ne divenne primo assistente; poi dal 1932 al 1940 svolse l’incarico di segretario di redazione della famosa rivista del gruppo, “Zeitschrift fiir Sozialforschung”, su cui pubblicò alcuni dei suoi saggi più significativi. Nel 1933 con l’avvento del nazismo, come tutti gli intellettuali non allineati, fu costretto ad andare in esilio dapprima in Svizzera e poco dopo negli Stati Uniti d’America dove rimase, se si escludono brevi periodi, fino alla morte.

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