Narcocapitalismo

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Laurent de Sutter

pp. 106
Anno 2023
ISBN 9788869482717

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Descrizione

Laurent de Sutter
Narcocapitalismo. Vita e psicopolitiva nell’era dell’anestesia
Nuova edizione con una postfazione e una intervista all’autore
Traduzione di Gianfranco Morosato

Cosa hanno in comune l’invenzione degli anestetici a metà dell’Ottocento, l’uso della cocaina da parte dei nazisti e lo sviluppo del Prozac? La risposta è che tutti sono prodotti della stessa logica, che definisce la nostra contemporaneità come “l’era dell’anestesia”. Laurent de Sutter mostra come molti aspetti della nostra vita siano ora caratterizzati dalla gestione dei nostri sentimenti attraverso i farmaci – dall’uso quotidiano di sonniferi ai narcotici pesanti. La chimica è diventata così parte di noi che non riusciamo nemmeno a vedere quanto ci ha cambiati. In questa epoca, essere un soggetto non significa semplicemente essere sottoposti a poteri che decidono delle nostre vite: significa che le nostre stesse emozioni sono state affidate alla stimolazione chimica. Eppure non capiamo perché le sostanze che assumiamo non siano in grado di liberarci dalla stanchezza e dalla depressione, e dalla assenza di desiderio che caratterizza la nostra condizione psicopolitica. Abbiamo dimenticato cosa significa essere eccitati perché le sole eccitazioni che conosciamo sono indotte da farmaci e droghe. Dobbiamo abbandonare la stimolazione narcotica a cui siamo arrivati e trovare un modo per tornare all’eccitazione collettiva, che è la più grande paura del narcocapitalismo.

“Questo libro affascinante può essere letto in molti modi: come una breve storia della psico-farmacologia moderna, come una teoria della politica contemporanea in quanto anestesia del corpo sociale, e come una svolta filosofica sulla dimensione ontologica della depressione. Dovrebbe essere tra le letture di ogni filosofo, psicoanalista o attivista sociale interessato a sperimentare l’eccitazione di una vera avventura intellettuale” (Franco Berardi Bifo).

Laurent de Sutter è un filosofo belga, professore di Teoria del diritto presso la Vrije Universiteit di Bruxelles. Fra i suoi libri nella nostra lingua, L’arte dell’ebbrezza (Giometti & Antonello, 2021), Teoria del kamikaze (il melangolo, 2016), Per farla finita con se stessi (Tlon, 2022) e, per i nostri tipi, Deleuze e la pratica del diritto (2011).

Rassegna stampa

NERO Not – 26 Settembre, 2018

Contro il narcocapitalismo
di Enrico Petrilli

L’anestesia non è il nostro destino: quella che serve è una politica dell’eccitazione. Intervista al filosofo belga Laurent de Sutter, autore del recente Narcocapitalismo (Ombre Corte, 2018)

Ancora prima del suo insediamento, Matteo Salvini faceva degli psicofarmaci l’indicatore del male degli italiani, snocciolando la fantomatica cifra del 20% della popolazione che li assumerebbe. Una nazione intrappolata tra precarietà e insicurezza, incapace di fare l’unica cosa che gli viene richiesto: lavorare e figliare. La delega alle droghe del ministro omotransfobo-ma-non-solo Fontana, i proclami infondati sulla «esplosione di aggressioni» dei «pazienti psichiatrici» e l’annuncio dell’operazione «Scuole Sicure» non fanno altro che confermare un copione banale, facilmente prevedibile fin dall’inizio: primo, le sostanze psicotrope (legali o meno) utilizzate da parte degli «imprenditori morali» come diversivo, rendendo i consumatori di sostanze stupefacenti e chi soffre di un disturbo mentale un capro espiatorio, un’altra amenità da combattere, proprio come gli immigrati; secondo, intrappolare le esperienze sensibili dei soggetti nel macabro realismo di una guerra tra poveri, per farci vivere un capolinea sociale, economico ed emotivo senza alcuna via di scampo.

Come sfuggire a questa asfissiante riproposizione di un discorso semplicistico sulle sostanze che divide il campo tra bene e male, tra difensori degli interessi della popolazione e soggetti da correggere? Dalla scorsa primavera ho iniziato un lungo e intenso rapporto epistolare con Laurent de Sutter, autore di scritti che spaziano dalla Metafisica della puttana alla Teoria del Kamikaze. Nel suo ultimo libro, Narcocapitalismo (in uscita anche in Italia grazie ai tipi di Ombre Corte) il tentativo è proprio quello di articolare un’interpretazione innovativa sulla posizione ricoperta dalle sostanze stupefacenti – legali o meno – all’interno del capitalismo contemporaneo. Una lettura che non si abbandona ad una visione salvifica e demodé delle droghe, ed è allo stesso tempo capace di disarticolare le banali argomentazioni dei difensori della moralità di cui sopra, mostrando un campo di forze molto più complesso, in cui si intrecciano la storia dell’anestesia, la politica dell’eccitazione e la polizia dell’essere.

Se questo non bastasse, discutere con una figura dallo spessore di Laurent diventa anche l’occasione per presentare un modo diverso di vivere la pratica politica e intellettuale, in cui la forma da far assumere ai propri pensieri è articolata in un’ontologia materialista, attenta alle forze e agli oggetti che influenzano il nostro stare al mondo, molto più di quelli che lui chiama «giganteschi pupazzi concettuali». Solo in questo modo sembra possibile attuare uno smarcamento dalle tradizionali formulazioni della filosofia come della politica occidentale, per iniziare a «riorientare differentemente quella che Nick Srnicek e Alex Williams hanno definito la piattaforma materiale del capitalismo contemporaneo»… continua a leggere >

 


 

La Stampa – 17 novembre 2018

Ingoio pillole, dunque sono (tranquillo): benvenuti nell’era dell’umanità sotto anestesia
Di Marco Filoni


 

Alfabeta2 – 21 Ottobre 2018

La farmacia del Capitale
di Massimo Filippi e Enrico Monacelli

In una clinica-laboratorio, circondata da un ampio giardino non lontano da un grande centro urbano della Colombia, dove «tutto [è] così automatizzato» da richiedere «pochissimo personale per gestire le apparecchiature e i locali», un medico sta conducendo un esperimento su delle cavie umane: a quattro «donne delle classi inferiori» viene somministrata una nuova droga che sfrutta «le proprietà psicoattive di un fiore del genere datura, utilizzato comunemente dalle contadine della cordigliera per la fabbricazione di sapone artigianale». Il farmaco funziona esclusivamente sulle donne e, se dapprima sembra esclusivamente in grado di favorire il sonno, successivamente si mostra capace di ben altri effetti, riassunti con lucidità dalla cavia «numero 4» nel suo questionario di valutazione del prodotto: «Se sei triste, ti tira su. Se sei troppo euforica, ti calma e se hai bisogno di energia, te la dà. […] ti dà quello che ti serve, sempre, una droga intelligente che soddisfa le necessità e i desideri».
Questa, in breve, è l’ossatura che regge la trama di Ornamento, romanzo di Juan Cárdenas. Lasciando alle lettrici e ai lettori il piacere di scoprirne la complessità e la perizia narrativa, ciò che qui ci preme sottolineare è che Ornamento è un’anamorfosi: guardato dalla giusta prospettiva, analoga ad esempio a quella assunta dallo sguardo femminista sulla science fiction, l’opera di Cárdenas va interpretata non tanto come un racconto distopico quanto piuttosto come un resoconto puntuale delle attuali farmacodinamiche del Capitale, la restituzione impietosa della lotta in corso, oggi più intensa che mai, tra «il corpo e il mercato». Una lotta che vede quest’ultimo impegnato nella ricerca spasmodica di ricette psicochimiche sempre più efficaci nel produrre «stati d’animo artificiali» che «accontent[ino] tutti». Non a caso, lo sperimentatore, abbandonando la presunta neutralità dell’impresa scientifica, si rende progressivamente consapevole che anche i «postumi di una sbornia [sono] un modo contorto di collaborare con il sistema», fino ad emettere una diagnosi implacabile sullo stato del tempo presente: «La materia stessa della realtà sembra corrosa dall’assurdo» e le crepe che l’attraversano «non sono un errore, ma la struttura stessa di un’economia catastrofica»… continua a leggere >

 


 

il manifesto – 7.11.2018

Una dolce anestesia per corpi riottosi
di Benedetto Vecchi

TEMPI PRESENTI. A proposito di «Narcocapitalismo» di Laurent de Sutter, per ombre corte. L’autore cerca di individuare percorsi politici di liberazione nel passaggio dal singolo alla folla

Gli umani hanno sempre alterato i propri stati di coscienza. Per perdere il controllo, per uscire da sé, per sottrarsi a quella fatica del vivere di un animale sociale che ha la sua singolarità solo perché «abita» in società. Alcol, erbe, funghi, sostanze chimiche presenti in natura: tutto è stato usato nel corso dei secoli per questo desiderio di «evasione». Eppure a un certo punto della storia europea è accaduto qualcosa che ha segnato una discontinuità in queste consolidate consuetudini, blandamente stigmatizzate solo quando la dipendenza dall’alcol o dall’oppio in Asia superava il livello di guardia.
Michel Foucault scrive in Storia della follia che la presa in cura e il governo della nuda vita sono diventati gli elementi che distinguono la modernità capitalistica dalla storia precedente.
Laurent de Sutter, docente belga-francofono, prova a spingere lo sguardo oltre la constatazione di quella discontinuità, individuando nell’anestesia – cioè il controllo dei corpi e delle menti dei riottosi all’ordine costituito – uno degli elementi fondanti il Narcocapitalismo, come recita il titolo della raccolta di scritti recentemente pubblicata da ombre corte (pp. 104, euro 10). Un libro divertente da leggere, pieno di informazioni che attestano il fatto che da Sigmund Freud allo sviluppo dell’industria farmaceutica capitalistica c’è una linea di continuità difficile da occultare.
All’alba del Novecento, una schiera di chimici, biologi, medici, psichiatri indossano il camice per mettere a punto medicine e sostanze che consentano il governo delle vite sia delle «classi pericolose» (il proletariato di allora) che degli irrequieti, i «fuori di testa», gli eccentrici con l’obiettivo esplicito di farli tornare alla normalità, abbassando il livello di dolore fisico e cognitivo di vite ai margini, borderline.
De Sutters si sofferma su tutto ciò per segnalare che il successo di farmaci, bevande (la Coca Cola era una bibita stupefacente), imprese è dovuto proprio a questa ambivalenza: curare il dolore, riportando a una normalità eterodiretta uomini, donne, classi sociali.
Dunque, ci sono medicine che servono ad abbassare il dolore (l’anestesia), consentendo così ai chirurghi di poter operare senza fare i conti con chi è sotto i loro ferri. Le donne possono partorire attenuando la sofferenza, gli «eccitati», i «fuori di testa», i soldati possono essere mandati a farsi massacrare al fronte: tutti possono contare su farmaci che li aiutino a gestire stati alterati della coscienza, mentre i profitti di quella che diventerà Big Pharma lieviteranno progressivamente fino ai livelli scandalosi dei prezzi di alcune medicine e barbiturici contemporanei. Poco valgono le segnalazione di «inopportuni» – e spesso letali – effetti collaterali. Il narcocapitalismo non fa prigionieri, si legge tra le righe di questo libro.
Divertenti, come detto, le pagine sull’amore di Freud per la cocaina, preziose le informazioni sulla morfina e su altri farmaci messi a punti nel lungo Novecento, comprese quelle relative alla pillola anticoncezionale, che costituisce una sorta di contraddizione vivente: non cura, anzi è pensata per alterare il corpo delle donne. Ma giustamente, come hanno affermato con chiarezza politica cristallina i vari movimenti femministi, l’autodeterminazione del proprio corpo e desideri non può essere piegata a una visione normativa e organicista di salute e malattia.
I farmaci servono così ad affermare una idea di normalità e di governo autoritario della società – belle sono le pagine sulla notte che da possibile regno della trasgressione deve essere riportata a una trasgressione addomesticata, cancellando la distinzione tra giorno e notte, tra lavoro e riposo, perché la produzione di merci è h.24, sebbene i ritmi che impone ai singoli siano intollerabili, bestiali. Allora vanno bene cocaina, anfetamine, barbiturici e chi più ne ha più ingerisca. C’è quindi una dimensione politica, collettiva che va messa a tema.
De Sutter si inoltra nel sentiero dell’analisi delle folle, di quell’uscire da sé che è rappresentato dalle folle stesse. Cerca di individuare possibili percorsi politici di liberazione nel passaggio dal singolo alla folla. Stimolante è l’analisi delle tesi di Beatrice Preciado sull’hacking ormonale, la rottura dei codici dominanti della farmacopea: una indicazione politica rimasta purtroppo limitata a ristretti gruppi di attivisti lgbt.
Quel che emerge nel libro è l’invito a misurarsi con il concetto di psicopolitica nel governo delle vite. De Sutter lo contrappone alla biopolitica foucaultiana. Tanto la psicopolitica – cioè una psicologizzazione dei comportamenti individuali e collettivi al fine di depotenziarne la conflittualità – che la biopolitica sono tuttavia elementi complementari. Come spezzare il cortocircuito o il cerchio magico tra biopotere e forme di resistenza è la posta in gioco di chi vuol rompere la gabbia psicopolitica del narcocapitalismo. Occorre cioè inoltrarsi in quella terra di nessuno che è l’intreccio tra vita e lavoro, tra produzione e riproduzione, tra definizione e mutamento dei rapporti sociali di produzione. Certo, si possono fare incontri inattesi e non sempre entusiasmanti (la depressione di massa, l’infelicità divenuta normalità, la rabbia autodistruttiva) ma è necessario correre il rischio. Perché maggiore il pericolo, maggiori – si spera – sono le capacità di salvezza dal narcocapitalismo.

 


 

minima&moralia – 23 ottobre 2018

Alienazione e anestesia. Capitalismi oggi
di Matteo Moca

Parafrasando le parole di Karl Marx e Friedrich Engels, lo spettro che si aggira ormai da tempo nell’Europa risponde al nome del capitalismo: ma tanta ed estesa è la sua frequentazione con il mondo, che esso ha imparato ad assumere forme e sembianze sempre diverse, sottostando ad un diabolico principio di mutevolezza che mai si placa e che lo rende sempre più sfuggente. Se il libro del 2013, divenuto più che celebre, di Thomas Piketty Il capitale nel XXI secolo, mostrava come esso dominasse nell’andamento delle disuguaglianze tra i redditi, sono recentemente usciti due saggi che tentano di esplorare alcune delle forme che il capitalismo sta assumendo oggi, letture imprescindibili per comprendere le nuove forme attraverso cui esso appare.

Da una parte l’analisi si muove in relazione alle sostanze farmaceutiche che, in diversa misura, prendono un posto decisivo nel quotidiano delle esistenze, dall’altra indaga invece come l’illusione della tecnica e della tecnologia miri a nascondere le alienazioni del presente, tutt’altro che scomparse. Si tratta del libro di Laurent de Sutter Narcocapitalismo. La vita nell’era dell’anestesia, edito da Ombre Corte con la traduzione di Gianfranco Morosato e di La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecnocapitalismo del sociologo Lelio Demichelis, pubblicato da Jaca Book. I libri hanno ovviamente riferimenti e punti di vista molto differenti, ma attraverso una loro serrata lettura, si è introdotti in alcuni dei meccanismi, tanto nascosti quanto pervasivi, che il capitalismo genera nella nostra contemporaneità… continua a leggere >

UN ASSAGGIO

Prefazione

Siamo entrati in un’epoca perduta, di cui cerchiamo continuamente di abbattere i muri, senza riuscire a capire che il più importante di essi è invisibile: quello che è stato costruito dentro di noi, con il nostro concorso. Non si tratta del muro dell’incoscienza o della servitù volontaria, categoria poliziesca per moralisti che hanno bisogno di colpevoli, ma quello che la chimica del nostro cervello richiede con sempre più ardore: è la barriera dell’off. Di fronte a un mondo in cui riconosciamo solo l’angoscia, cerchiamo di sopravvivere con l’aiuto di rimedi che, ci viene detto, ci alleggeriranno e ci permetteranno di continuare a interpretare il nostro piccolo ruolo nella sua folle danza. Quello che non sappiamo è quanto questi rimedi siano antichi, a quali strane famiglie appartengono e quali sono i problemi che li hanno resi popolari; quello che non conosciamo è la natura stessa di cosa ci fa vivere. Lo intuiamo, però: di che vita parliamo, quando ci affidiamo agli antidepressivi per rimanere a galla, ai sonniferi per dormire, agli eccitanti per vincere, alle droghe per fare festa? Questo lungo dialogo con il nostro portapillole può davvero essere chiamato “vita” – o ciò che intendiamo con questa non è forse quello che dovremmo evitare a tutti i costi? Di quale “vita” parliamo quando ognuna delle sue dimensioni, dal lavoro al tempo libero, dalla veglia al sonno, dalla gioia alla pace, è impostata su microdosi da somministrare a intervalli regolari? Forse è qui che si trova la perdita che definisce il nostro presente: viviamo in un’epoca perduta perché essa produce tutti i mezzi che ci consentono di allontanarcene, di avvertirne solo le cose più insignificanti. La nostra è un’epoca perduta perché la sua lotta consiste nella messa sotto controllo delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, delle nostre eccitazioni – il loro confinamento all’interno di una camicia di forza chimica che riduce le nostre paure al silenzio. Ma perché tacerle? Probabilmente perché le nostre paure fanno paura – prima di tutto a noi stessi, e poi a tutti coloro che temono che ci mettano in movimento, che ci spingano a unirci. Perché la paura, come tutte le emozioni, è contagiosa; è il primo veicolo di ogni cambiamento, sia personale che collettivo – come è noto da quando Machiavelli, nel xvi secolo, la definì come uno dei due sentimenti che ogni principe deve saper dominare. Su questo punto, i principi di oggi non sono diversi da quelli di ieri: anche per loro la paura resta un oggetto da amministare, un’emozione a loro servizio quando ne hanno bisogno – ma, oggi, questo servizio passa attraverso la nostra anestesia.

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