L’ emozione di uno spazio quotidiano

 18.00

Descrizione

Silvia Aru, Claudio Jampaglia, Maurizio Memoli, Matteo Puttilli
L’emozione di uno spazio quotidiano
Parole, racconti, immagini di Sant’Elia-Cagliari

In quanti e quali modi si può raccontare un quartiere? Quali emozioni, colori, parole ci legano al nostro spazio quotidiano? Quali problemi, desideri, inquietudini e aspettative lo rappresentano?
Il volume sintetizza gli esiti di un intervento di ricerca-azione svolto a Cagliari nel quartiere di Sant’Elia. Come in tanti altri contesti simili, il quartiere è composto per la quasi totalità da edifici di edilizia residenziale pubblica ed è storicamente connotato da carenza di servizi (educativi, sanitari, commerciali, ricreativi) e investito dal dibattito sulla sua riqualificazione urbanistica e sociale. L’indagine ha prodotto una raccolta di racconti, storie, percorsi, foto, ma anche di memorie pubbliche e private, con l’obiettivo di costruire una collezione di auto-rappresentazioni della “geografia dell’emozione” del quartiere, facendo emerge una geografia “minima” fatta di legami personali e sentimentali collettivi.
Il web-documentario “Sant’Elia. Frammenti di uno spazio quotidiano”, frutto del percorso di ricerca qui presentato, nel 2017 ha vinto ex aequo il primo premio per i web-doc di “Capodarco l’Altro Festival” ed è stato selezionato in finale per il “Primed – Premio Internazionale del documentario e del reportage del Mediterraneo” di Marsiglia. È consultabile liberamente sul sito dell’Università di Cagliari all’indirizzo www.webdoc.unica.it

Silvia Aru, geografa sociale, è ricercatrice all’Amsterdam Institute for Social Science Research (AISSR)-Marie-Curie Fellow dell’Università di Amsterdam.
Claudio Jampaglia, giornalista e autore, ha lavorato come cronista prima e caporedattore
poi in diverse testate nazionali.
Maurizio Memoli è ordinario di Geografia urbana presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambiente e Architettura dell’Università di Cagliari.
Matteo Puttilli è ricercatore presso il Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo dell’Università degli Studi di Firenze.

RASSEGNA STAMPA

UN ASSAGGIO

Introduzione

1. Un quartiere in periferia

“È così, è così, lo Zen di Palermo, Quarto Oggiaro a Milano, Sant’Elia a Cagliari devono essere il motore di integrazione per tutto il paese”, “si però, Giovanni, non è così semplice, qui a Roma ci sono delle periferie con dati impressionanti, c’è il Trullo, c’è Tor Bella Monaca, Bastogi…”. Questo piccolo dialogo è tratto dal film Come un gatto in tangenziale che propone, in una commedia dai toni divertenti, l’opposizione tra due mondi urbani costituiti: da una parte i modi di pensare, di vivere, di essere degli abitanti del centro cittadino e, dall’altra, quelli della periferia.
Un confronto/conflitto che, tralasciando gli elementi narrativi e volutamente comici del film, riassume la serie di luoghi comuni che alimentano la mis-conoscenza delle periferie urbane riassunte in un destino comune benché siano tutte molto diverse per contesto territoriale, storico, economico, sociale, culturale. Perché le periferie – anche nominalmente: ciò che è attorno a un centro – non sono luoghi in sé, ma esistono solo in virtù della loro natura “eccentrica”, ovvero del legame che le condanna a esistere perché in ragione di un “centro”, di uno spazio-privilegio.
Questo piccolo esempio segnala, però, anche un elemento ulteriore e fondamentale per la nostra ricerca e il nostro racconto, ovvero eleva il piccolo quartiere cagliaritano di Sant’Elia alla notorietà delle aree ben più complesse e note di Milano, Palermo, Roma, proponendo un’altra semplificazione assai comune che muove dall’idea che – nonostante le differenze di taglia, complessità, storia, paesaggio – le periferie possano essere agevolmente accomunate in un unico calderone di problemi e di differenze.
Il film ovviamente svolge il suo ruolo (a maggior ragione quando è ben concepito e prodotto): registra, amplifica, snida o caricatura lo stato d’animo dell’opinione pubblica. E d’altra parte Sant’Elia, quartiere di edilizia pubblica di Cagliari, come quasi tutte le altre periferie urbane simili, è generalmente identificato e stigmatizzato sul piano locale (abitanti, media, istituzioni) per essere “il” luogo “difficile” della città. È stato così fin dalla sua nascita nel dopoguerra e, sempre di più, lo è diventato dopo le operazioni di rigenerazione e ri-patrimonializzazione che hanno interessato il centro storico della città: il marchio di “spazio insicuro” (prima condiviso con il centro storico) è rimasto destino inconfutabile a carico della periferia e, in particolare, in epoca di dismissione del ruolo dello Stato in economia e nel welfare, delle periferie a gestione pubblica.
Ma le forme di stigmatizzazione hanno più facce e dissonanti. Sul piano più propriamente culturale, infatti, questi quartieri “difficili” continuano a rappresentare i luoghi della conservazione di una cultura popolare e originaria, tradizionale e fondativa che, se da una parte permette il rinnovamento della memoria collettiva, dall’altra alimenta qualche rallentamento sulla via della modernizzazione comunitaria. Sant’Elia, ad esempio, rappresenta una vera enclave di memorie e tipicità fatte di dialetto e linguaggi popolari, di pratiche e consuetudini informali, di prevaricazioni e solidarietà, altrove molto diluiti, se non scomparsi, nella liquidità dei rapporti sociali contemporanei. È un esempio chiarissimo. Il quartiere accoglie e preserva alcuni sostanziali quanto semplici crismi popolari e identitari dell’animo della città: della sua parlata sagace, del tifo indiscutibile per la squadra cittadina (più che regionale), della tradizione marinara e culinaria fatta (anche) di polpa di ricci mangiati per strada, della relazione ostica con il mare amico e che rappresenta il principale (forse l’unico) patrimonio del quartiere in termini di posizione, di paesaggio, di identità.
Anche sul piano propriamente paesaggistico, Sant’Elia espone la singolarità di uno spazio che mescola la dolcezza romantica del Borgo vecchio e le forme rigorosamente austere della sua parte modernista (rese anche più tristi dal tempo e dall’incuria) e in una composizione perfettamente novecentesca e mediterranea. La città pubblica, bella e brutta, specchia nella brillante lucentezza del mare, il pacato abbandono sonnolento del monte alle sue spalle. Nella striscia piana che ospita il quartiere, assumono senso le forme della vita quotidiana di un sistema comunitario fragile che però integra, risana e diluisce le difficoltà economiche e sociali degli alti tassi di disoccupazione e di reati, di bassa scolarizzazione e alta natalità; di pratiche illegali e piccole prevaricazioni; di consapevolezza antica e vene artistiche di rara intensità culturale.
Queste contraddizioni compongono, in termini teorici quanto contestuali, l’idea che Sant’Elia – altro che “semplice periferia” – sia in realtà uno spazio emblematico, conflittuale e contrastivo che sintetizza la matrice popolare della città con la durezza malinconica dei grandi palazzoni di edilizia pubblica; media la cortese familiarità del borgo più antico con le trame di vita da piccolo villaggio addossato alla linea di costa; inverte e contrasta la distanza che separa le esigenze della giustizia spaziale e i complessi nodi del diritto alla città.