Le fabbriche della cooperazione

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Marco Semenzin

pp. 219
Anno 2019
ISBN 9788869481123

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Descrizione

Marco Semenzin
Le fabbriche della cooperazione
Imprese recuperate e autogestite tra Argentina e Italia

Che cosa accade quando gli operai e le operaie di un’impresa che chiude i battenti non si rassegnano a un destino di disoccupazione, precarietà e impoverimento?
Le imprese recuperate sono generalmente definite come delle organizzazioni economiche che, a seguito di un fallimento, vengono rilevate e gestite direttamente in forma cooperativa dai lavoratori. Si tratta di un fenomeno diffuso a livello mondiale – parliamo di centinaia in Europa, migliaia nei paesi dell’America centro-meridionale – che si declina diversamente nei vari contesti nazionali.
Osservando due fabbriche recuperate, una metalmeccanica in Argentina e una ceramica in Italia, questa ricerca indaga se e in che misura le pratiche lavorative quotidiane, espressione della cultura organizzativa, contengono elementi di discontinuità e differenza rispetto a forme di organizzazione del lavoro tipiche dell’economia di mercato.
L’autore, a partire da un’analisi della dialettica tra struttura organizzativa e azione individuale, interpreta le imprese recuperate restituendo lo sguardo degli attori coinvolti e collegando la dimensione soggettiva con il contesto e le sue le strutture economiche e sociali.
Attraverso un denso e articolato resoconto etnografico, frutto della partecipazione diretta al lavoro di fabbrica, questa ricerca dà conto della complessità dei processi di recupero di impresa. Ne emergono i limiti e le contraddizioni, le potenzialità e le innovazioni sociali insieme ai cambiamenti della soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici che costruiscono e praticano quotidianamente la cooperazione e l’autogestione.

Marco Semenzin è dottore di ricerca in Scienze Sociali presso l’Università degli studi di Padova, ha condotto ricerche sui temi delle migrazioni, del lavoro e delle organizzazioni cooperative. Tra le sue pubblicazioni: con A. Ruggeri, “Empresas recuperadas en Argentina: ocupar, resistir, producir”, in C. Robertini e F. Correr (a cura di), America latina. Dinamiche territoriali (Oistros Edizioini, 2015), con D. Sacchetto, “Workers’ Cooperatives in Italy between Solidarity and Autocratic Centralism”, in P. Ngai, H. K. Ben, Y. Hairong, A. Koo (a cura di), Social Economy in China and The world (Routledge, 2016).

Rassegna stampa

La Bottega del Barbiere 14 Aprile 2019

Lavorare senza padroni: fra Italia e Argentina
di Daniele Barbieri

Lavoratori che recuperano le aziende fallite o in crisi. Se volete dirlo in sigla (inglese) è Wbo: Workers Buy Out. Il 12 aprile a Milano – anzi a Trezzano sul Naviglio (*) – se n’è parlato presso la «fabbrica recuperata» Rimaflow (**). I posti di lavoro salvati, con differenti forme di autogestione, in Italia sono 7500, circa 15mila se si calcola l’indotto. In Argentina dove il fenomeno è nato (o storicamente rinato, se preferite) per la crisi economica del 2001 e poi dal 2009 i dati, aggiornati al 2016, contavano 15.948 lavoratori e lavoratrici nelle 367 “imprese recuperate” che evidentemente salgono contando l’indotto.
Per capire cosa sta accadendo è indispensabile la lettura di «Le fabbriche della cooperazione» (Ombre Corte editore: 224 pagine per 18 euri) di Marco Semenzin, uscito in gennaio, con il sottotitolo «Imprese recuperate e autogestite fra Argentina e Italia». Un lavoro sul campo, studiando (e in un caso partecipando alla produzione, spostandosi nei vari reparti) per tre mesi una fabbrica metalmeccanica in Argentina e per due mesi e mezzo una ceramica in Italia.
«Le imprese recuperate possono essere definite come organizzazioni economiche che, a seguito di un processo fallimemtare, sono state rilevate e gestite direttamente dai lavoratori e hanno assunto la forma cooperativa».
Il lavoro di Semenzin indaga tre questioni: «I rapporti produttivi» e dunque mansioni, ritmi, tecnologie, gerarchia; «i rapporti sociali» dunque consenso, conflitti, partecipazione, leadership, organizzazione, soggettività; «l’organizzazione e il suo ambiente» dunque i rapporti con il mercato, con il territorio e con le più varie istituzioni. Oltre all’osservazione diretta, lo strumento principale della ricerca è l’analisi delle «interviste realizzate in fabbrica ai lavoratori e alle lavoratrici»: 29 alla argentina Impa e 30 all’italiana Ceramik (ma in questo secondo caso Semenzin non ha usato il vero nome, per le ragioni che spiega nel libro).
La ricerca è strutturata in 4 capitoli. «Il primo fornisce il quadro di contesto in cui sorgono le esperienze di recupero in Argentina e in Italia». Nel secondo si ragiona sulle idee e sulle pratiche storiche di autogestione e cooperazione. Il terzo e il quarto capitolo sono «le etnografie dei due casi di studio». A chiudere il libro le riflessioni dell’autore.
Moltissimi i passaggi del libro da segnalare, decisamente troppi per una recensione. Qui accenno solo a due questioni: le grandi diversità politiche fra i lavoratori e lavoratrici dei due Paesi, da un lato; e dall’altro la partecipazione emotiva (“lo strippo” diremmo noi romanacci) dell’autore, in particolare «una forte delusione sul piano politico». Quando, verso la fine del libro, Semenzin abbandona la simbolica giacca del ricercatore e indossa la felpa del militante scrive, parlando dell’esperienza argentina: «Non è posssibile negare che il mio interesse per il fenomeno studiato abbia radici politiche […] Il disinganno e lo sconforto che ne è seguito sono stati molto forti […] Rabbia e risentimento, in parte indirizzati verso me stesso, per non aver saputo scegliere un caso adeguato». A me questa confessione emotiva appare un ulteriore pregio: non credo nella neutralità e come lo stesso Semenzin ricorda l’osservatore «non è una mosca appoggiata al muro». Chi osserva partecipa – lo voglia o no – e interagisce. Decidendo poi cosa raccontare e cosa tacere. Bugiardo chi dice il contrario.
Ricordo che in rete è possibile vedere «La fabbrica senza padroni: FaSinPat, una storia di riappropriazione»: www.distribuzionidalbasso.com/la-fabbrica-senza-padroni

(*) ne ha scritto qui Salvatore Cannavò: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/04/12/quando-i-lavoratori-in-fabbrica-fanno-da-se/5104812/
(**) in “bottega” se n’è parlato più volte: per esempio qui RiMaflow deve vivere e qui Ri-Maflow: il reato di lavorare senza padrone

UN ASSAGGIO

Introduzione

[…] Le imprese recuperate possono essere generalmente definite come delle organizzazioni economiche che, a seguito di un processo fallimentare, sono state rilevate e gestite direttamente dai lavoratori e hanno assunto la forma cooperativa. I concetti di autogestione, cooperazione e il loro situarsi concretamente nelle dimensioni economiche divengono quindi strumenti concettuali adeguati alla lettura del fenomeno.
Le imprese recuperate si declinano diversamente nei vari contesti nazionali in cui sorgono divenendo un fenomeno diffuso a livello mondiale, che come ordine di grandezza va da alcune centinaia in Europa ad alcune migliaia nei paesi dell’America Centrale e Meridionale.
È bene precisare fin da subito che non vi è una corrispondenza univoca tra uno specifico modello di recupero di impresa e contesto nazionale, semmai in un determinato Paese vi è la predominanza di una tipologia di recupero che però convive con esperienze alternative. In paesi quali Stati Uniti Canada e Regno Unito nell’ambito delle imprese recuperate ricadono società in cui i lavoratori hanno acquistato parte dei titoli azionari oppure, come in Italia, Francia e Spagna, imprese che i dipendenti hanno acquisito senza tensioni attraverso aste pubbliche o passaggi di proprietà. In Spagna ad esempio le imprese recuperate ricadono nella tipologia delle sociatades laborales nelle quali i soci lavoratori detengono almeno il 51 per cento delle azioni. In Francia la situazione è analoga: nelle scoops i dipendenti possiedono la maggioranza del capitale, eleggono il gruppo dirigente e concorrono alle decisioni.
In America centrale imprese recuperate sono presenti in Messico, mentre nell’America del Sud i processi di recupero sono diffusi in Venezuela, Paraguay, Uruguay, Brasile ed Argentina. In questi Paesi i recuperi delle imprese avvengono in maniera estremamente conflittuale in un quadro di forte crisi economica e sociale (Gomez Solozano, Pacheco Reyes 2014). In Brasile ad esempio le imprese autogeridas hanno assunto una forma cooperativa e vantano una genesi simile al caso argentino poiché sorgono nei primi anni Novanta come conseguenza delle chiusure industriali e della disoccupazione. A differenza dell’Argentina, tuttavia, queste esperienze hanno ottenuto un sostegno pubblico e i lavoratori sono stati appoggiati dai sindacati nel processo di recupero (Henriques et al. 2013). Anche in Uruguay le imprese recuperate, nate negli anni Novanta come risposta alla crisi economica ed occupazionale, sono state sostenute delle organizzazioni sindacali, riuscendo a fortificarsi nel tempo. In Venezuela invece vi sono cooperative controllate dai dipendenti, cogestite con lo Stato e collegate ad altre forme di organizzazione comunitaria (Azzellini 2013).
In Argentina la genesi delle imprese recuperate va collocata all’interno della recente storia politica, economica e sociale del Paese, caratterizzata da importanti processi di deindustrializzazione, finanziarizzazione dell’economia, privatizzazione del settore pubblico e crescita del debito estero, ai quali si è affiancata una condizione di “de-collettivizzazione della società argentina” (Basualdo 2006; Rapoport, 2008).
Il modello del processo di recupero argentino (Rizza, Sermasi 2008) è descritto come una specifica azione dei lavoratori e delle lavoratrici di una determinata impresa fallita a causa della crisi economica del 2001. Essi, solitamente, occupano l’azienda e, in seguito, avviano un processo di autogestione e di trasformazione dell’impresa in “cooperativa di lavoro”, sulla spinta della legislazione vigente. Le Empresas recuperadas por sus trabajadores (Ert) (circa quattrocento casi che occupano intorno ai 16 mila lavoratori) risultano eterogenee per settore economico, valori e orientamenti politici e forma giuridica: in prevalenza si tratta di cooperative, ma sono presenti società a responsabilità limitata o addirittura società per azioni (Corona 2011; Programa Facultad Abierta 2010).