La vanità metafisica dell’amore

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Milosh F. Fascetti

pp. 111
Anno 2020
ISBN 9788869481444

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Descrizione

Milosh F. Fascetti
La vanità metafisica dell’amore

Quale è la natura proibita dei nostri desideri? È a questa spinosa e idealizzata domanda che il libro intende dare una risposta originale, articolando una traiettoria analitica che, sorretta da solidi argomenti filosofici postulati per brevi capoversi, percorre temi, scuole e discipline differenti, da Lacan al maschilismo, dalla psicoanalisi relazionale alle origini del romanticismo, fino alla critica cinematografica, alla musica e alla letteratura.
L’oggetto d’amore storpio e precario, la giovinezza fuggevole o la malattia – la cortina che non si deve oltrepassare. I mutilati di guerra, la bellezza verginale, un amore à la Celine… a volte sono questi gli unici modi, deteriori e minoritari, per provare sentimento e un po’ d’eccitazione nelle nostre vite.
In un percorso suggestivo e dissacrante, decostruendo cautamente un certo pensiero dell’affermazione in voga nella tradizione filosofica, l’autore ci invita a gettare nuova luce su alcuni aspetti del discorso forse più rilevante e antico della nostra civiltà. “Io non mi basto”, afferma l’innamorato. “Tu non mi servi a niente”, egli grida. E si domanda: “Ma allora perché sto con te?”. Proprio per quello, risponderemo noi. Come l’arte, il desiderio è fine a se stesso. E come il bello, esso esiste solamente se sciolto nella materia dell’esteriorità.

Milosh F. Fascetti, Ph.D in filosofia presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, collabora con il Centro studi e documentazione Linguaggio e Pensiero della stessa università ed è membro del comitato di redazione della rivista di estetica e studi culturali “Ágalma”. È autore di La fine della musica (Mimesis, 2017), L’idolatria del lavoro (Mimesis, 2019) e L’elemosina della ragione (Armando editore, 2020).

RASSEGNA STAMPA

UN ASSAGGIO

1. Le parole dell’estasi

In questo libro parleremo di relazioni, in particolare delle relazioni d’amore. Sperando di riuscire anche solo limitatamente in questo intento, decostruiremo con brevi capoversi le illusioni delle cose d’amore, col filo rosso di una critica al maschilismo e di un elogio velato, quindi, dell’elemento femminile.
In ogni tentativo che facciamo per avvicinarci al prossimo, in tutte le nostre relazioni interpersonali, ci ritroviamo infatti senza saperlo in un vicolo cieco nel quale l’altro sembra lentamente scomparire. Innanzitutto, lo scambio che è presente in qualsiasi rapporto umano è possibile perché, come scrive Emmanuel Lévinas, la reciprocità non è la relazione, pur essendo qualcosa che implichi necessariamente un rapporto tra termini. Questo fatto singolare non è però un paradosso logico, giacché la relazione fa perno sulla differenza, che la reciprocità cerca invece di smussare con il suo carattere simmetrico e con il suo continuo rispecchiamento.
A dispetto di quel che si è soliti pensare, chi muove verso l’Altro, chi è propenso nel rapportasi alle altre persone, paradossalmente si allontana dagli altri, cioè divide il proprio Io dagli altri elementi e, più nello specifico, si separa dagli oggetti esterni, come se questi fossero delle determinazioni finite, per così dire, rispetto a ciò che risiede al di fuori di lui. Il confine della nostra interiorità, infatti, ovvero di quella dimensione che si apre verso ciò che è fuori di noi, è ciò che Lévinas ha chiamato esteriorità, elemento fondamentale anche per le nostre riflessioni a venire. Al contrario, quando facciamo un incontro, ad esempio, unifichiamo in un terzo elemento asimmetrico tutte quelle obbligate differenze che vi sono tra noi e gli altri, e nel fare questo compiamo, quindi, un passo più elaborato in direzione dell’alterità, diventando apparentemente più capaci e maturi nel rapportarci alle altre persone. Questo è quello che accade per esempio nella coppia, nel cui incastro è però salvata, pur sempre, la dimensione della complementarietà. Tutto ciò rivela, dunque, un senso di egotismo privo di vie d’uscita, perché anche la coppia si struttura in due modalità principali, l’una fattispecie dell’altra: ‘per rispecchiamento’ o ‘per completamento’. In altre parole infatti, sia nel rispecchiamento, in cui si ricerca il proprio alterego, cioè si tende a trovare nell’altra persona quei caratteri simili ai nostri, sia nella complementarietà, in cui si cerca invece nell’altro ciò che ci completa, come a richiudere un cerchio intero nelle sue due metà, a dominare è sempre l’Io.
Per contro, se ci separassimo dagli altri, curiosamente, avremmo invece l’uguaglianza perché, una volta che l’altra persona è ben presente e separata di fronte a noi, in questo modo l’altro sarà anche diverso da me ma, poiché Altro, uguale a me per condizione: io stesso sono, difatti, un altro per qualcuno. Molto argutamente Jean-Luc Nancy nota come, prendendo coscienza di questo, ci accorgiamo di esistere in una dimensione ‘estranea’ a noi stessi, ma in un essere insieme obbligato. Questo, secondo il filosofo francese, è antecedente a ogni derivazione individuale, e base di qualunque idea di comunità la quale, in tal modo, non è più solamente una parcellizzata collezione d’individui.