Il soggetto rivoluzionario

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Giuseppe Buondonno

pp. 142
Anno 2017
ISBN 9788869480652

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Descrizione

Giuseppe Buondonno
Il soggetto rivoluzionario. Attualità di Walter Benjamin
Prefazione di Augusto Illuminati

Che ruolo gioca il “soggetto politico” nell’opera di Walter Benjamin? È possibile rileggerne le principali categorie a partire da esso? Questa è la sfida che raccoglie la ricostruzione del pensiero del filosofo tedesco proposta in questo volume. La soggettività, in quanto sostanza cosciente della storia umana, è – sostiene l’autore – uno dei cardini fondamentali dell’attualità del marxismo di Benjamin. Non solo perché ci pone di fronte alla rimozione della trasformazione e del conflitto, che sono invece attuali in ogni momento dello sviluppo storico; ma anche perché del pensiero dello stesso Marx ci restituisce la sostanza metodologica e politica: pensare la realtà storicamente significa individuare e costruire la soggettività nel presente, e pensarla in termini rivoluzionari. Sottrarre l’opera di Marx a una riduzione puramente sociologica, e quella di Benjamin alle pure suggestioni letterarie, non sembra una cosa diversa dal lavoro teorico e politico cui il loro pensiero continua a porci di fronte. Inattualità” della riflessione benjaminiana non è dunque ricercata a dispetto della complessità contemporanea, ma dentro le sue pieghe. Né Marx, né Benjamin – è superfluo ricordarlo – possono offrirci le risposte o le soluzioni, ma rileggerli in relazione alle strutture sociali e agli esseri umani del presente appare essenziale, se si intende ricostruire una strumentazione critica all’altezza del nostro tempo. “Questo nemico non ha smesso di vincere”, ci ammonisce Benjamin nelle sue tesi sulla storia, scritte poco prima di morire, braccato e stremato. Ma si tratta appunto di un ammonimento teorico e politico, non certo di una resa.

Giuseppe Buondonno insegna Lettere presso il Liceo Artistico statale di Fermo. Da sempre studioso del pensiero marxista e militante della sinistra, è stato tra i fondatori dell’Istituto fermano per la Storia del Movimento di Liberazione ed è tra gli organizzatori del Premio letterario nazionale “Paolo Volponi. Letteratura e impegno civile”. Collabora con il quotidiano “il manifesto”.

RASSEGNA STAMPA

il manifesto – 25.7.2017

Quell’instancabile desiderio di libertà
di Gianpaolo Cherchi

Walter Benjamin. L’attualità di un pensiero dotato di profondità che supera la sventura biografica e parla alla Storia. A partire da due libri, di Giuseppe Buondonno e Libero Federici, entrambi editi da ombre corte. Un percorso di letture attraverso alcune recenti pubblicazioni sul filosofo

«In una situazione senza uscita non ho altra scelta che quella di farla finita». Sono le ultime parole che Walter Benjamin scrisse ad Adorno quando, braccato dai nazisti e bloccato dalla polizia di frontiera spagnola, decide di togliersi la vita con una overdose di morfina. Il pomeriggio successivo, a confermare l’avversità della sorte nei suoi confronti, sarebbe arrivato il visto che gli avrebbe consentito di imbarcarsi negli Stati Uniti. È il noto epilogo di una vicenda esistenziale costellata da delusioni e fallimenti senza sosta, l’atto definitivo di una vita mutilata e offesa, su cui la sfortuna non ha smesso di accanirsi nemmeno dopo la morte: il suo cadavere verrà gettato in una fossa comune, rendendo così impossibile qualsiasi identificazione.

C’è tuttavia, nella sventura benjaminiana, una purezza straordinaria, data da un instancabile desiderio di libertà. Troppo spesso, infatti, si è guardato al pensiero di Benjamin con giudizio malinconico e arrendevole, come se i fallimenti della sua esistenza si siano riversati in ogni riga e in ogni parola dei suoi scritti. Si è diffusa perciò l’immagine di Walter Benjamin «magnifico perdente», il cui pessimismo malinconico si riflette nello sguardo dell’angelo della storia: così come quest’ultimo viene spinto verso la bufera, che si impiglia nelle sue ali e gli impedisce di fermarsi, allo stesso modo Benjamin, con la sua imperizia, con la precisione di un sonnambulo (come racconta bene di lui Hannah Arendt) riusciva a dirigersi sempre al centro della catastrofe.

SE SI OSSERVA per un momento quell’uomo cardiopatico, logorato nel corpo e nello spirito dall’internamento nei campi di prigionia nazisti, che fino all’ultimo cerca disperatamente la sua redenzione, inerpicandosi lungo un pietroso sentiero dei Pirenei; se ci si sofferma con attenzione su questa goffa figura che porta con sé una valigetta nera contenente pagine ben più importanti, a suo dire, della sua stessa vita, si noterà che quanto più la sventura lo perseguitava, tanto più egli era in grado di tirare fuori frutti spirituali di infinito valore. Se si osserva con la dovuta cura l’opera di Walter Benjamin si riuscirà a vedere un instancabile combattente, sempre disposto a sondare con determinazione eroica ogni ambito del sapere, mai pago delle consolazioni date dalle varie forme di rappresentazione della realtà e sempre alla continua ricerca di esperienze in grado di rivoluzionarla. > continua a leggere >

UN ASSAGGIO

Prefazione
di Augusto Illuminati

Gettato nella spazzatura della storia – secondo la pittoresca espressione affibbiatagli da Trockij – Julij Martov, dopo l’ultima battaglia persa contro Lenin al secondo congresso dei Soviet nel novembre 1917, si dedicò alla riflessione sul bolscevismo, cui attese nei mesi successivi e fra l’abbandono dell’Urss (1920) e la morte in Germania (1923).
Nell’incompiuto saggio sul Bolscevismo mondiale (1919), pubblicato frammentariamente su rivista in russo e in tedesco nel 1920-1921 e infine edito in volume nel 1923 (trad. it. Einaudi, Torino 1980), il leader menscevico, oltre a enunciare le classiche critiche (in parte comuni con Rosa Luxemburg) sul rapporto fallito fra democrazia e comunismo bolscevico, si sofferma in modo originale sul ruolo della guerra mondiale come interruzione dell’ascesa del proletariato organizzato. Il punto di partenza è il classico assunto che un dominio temporaneo della piccola borghesia o del proletariato può servire da innesto per la rivoluzione socialista solo se sono state elaborate le condizioni materiali che la rendano necessarie: in caso opposto portano inevitabilmente a una dittatura elitaria in nome di masse ancora non mature, giacobinismo o blanquismo. Infine bolscevismo. Quest’ultimo – e qui è la parte originale dell’analisi – nasce dalla I guerra mondiale, ma non è una semplice rivoluzione di soldati, una specie di ammutinamento quale pure all’inizio fu, ma più in generale “comunismo del consumatore”, unico interesse sociale che unisce elementi eterogenei per composizione di classe e declassati, cioè staccati dal loro ambiente sociale d’origine come appunto i soldati gettati nelle trincee. Anche una volta smobilitati, questi elementi mancano di un serio interesse per le necessità della produzione sociale, perché in essi predomina il punto di vista del consumatore (e di quel particolare consumatore che è il distruttore bellico) su quello del produttore. Durante la guerra
la massa operaia è cambiata dal punto di vista qualitativo. I suoi vecchi quadri, dotati di una maggiore educazione di classe, hanno trascorso quattro anni e mezzo al fronte e, staccatisi da ogni lavoro produttivo, si sono impregnati della psicologia delle trincee, dissolvendosi spiritualmente nell’ambiente sociale amorfo degli elementi declassati. Tornati nelle file del proletariato, vi portano lo spirito rivoluzionario combattivo ma anche lo spirito del ribellismo soldatesco. Nel corso della guerra, il loro posto nella produzione fu preso da milioni di nuovi operai, ex artigiani andati in rovina e altri “poveracci”, proletari delle campagne e donne della classe operaia. Questi nuovi operai lavoravano in assenza di un movimento politico del proletariato e con un movimento sindacale ridotto a dimensioni pietose. Nonostante la crescita mostruosa della produzione bellica […] la coscienza di classe di queste nuove masse proletarie si sviluppava con grande fatica, mancando ad esse quasi ogni pratica di lotta organizzata a fianco di strati più evoluti di operai.

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