Abitare la frontiera

 18.00

Luca Giliberti

pp. 237
Anno 2020
ISBN 9788869481673

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Descrizione

Luca Giliberti
Abitare la frontiera
Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano
Prefazione di Luca Queirolo Palmas

La Val Roja, piccola valle francese al confine con l’Italia, a partire dal 2015, con la chiusura di diverse frontiere interne all’Europa, si ritrova al centro di una inedita rotta migratoria che va verso il nord Europa. Migliaia di migranti restano bloccati a Ventimiglia e, nel tentativo di varcare la frontiera, finiscono per attraversare territori rurali e alpini, nonostante la capillare militarizzazione. Una parte importante della popolazione della valle si mobilita nella solidarietà, offrendo ospitalità, cura e supporto ai migranti in transito. Si tratta di quella parte della popolazione – i cosiddetti “neorurali” – che, dalla fine degli anni Settanta a oggi, alla ricerca di uno stile di vita alternativo all’insegna della decrescita, della sostenibilità rurale e di valori solidali, sceglie la Val Roja come luogo per abitare. Un’altra parte della popolazione, legata alle famiglie native tendenzialmente “reazionarie”, si oppone all’azione solidale, dando origine a conflitti che rafforzano le frontiere sociali preesistenti nella valle. Confini politico-territoriali che irrompono in Europa e confini sociali entrano in collisione: i neorurali della valle, oltre ad abitare la frontiera tra due Stati, si ritrovano ad abitare la frontiera sociale che li divide da un universo culturale opposto.
Frutto di una lunga e intensa ricerca etnografica, il presente volume racconta l’Europa della crisi dell’accoglienza, con le sue frizioni, i movimenti solidali dal basso e i processi di trasformazione sociale che ne derivano.

Luca Giliberti è assegnista di ricerca in Sociologia presso l’Università degli Studi di Genova (Laboratorio di Sociologia Visuale, Dipartimento di Scienze della Formazione), dove lavora come ricercatore del progetto PRIN “ASIT”. È inoltre research fellow presso l’URMIS (Unité de Recherches Migrations et Société, Université Côte d’Azur) e presso l’Institut Convergences Migrations (Dipartimento Policy). I suoi interessi di ricerca ruotano attorno allo studio dei processi migratori transnazionali, delle frontiere e delle reti di solidarietà ai migranti in transito. Autore del volume Negros de Barcelona. Juventud dominicana entre racismo y resistencia (Genoa University Press, 2018), ha pubblicato numerosi articoli in riviste scientifiche nazionali e internazionali.

RASSEGNA STAMPA

Melting Pot Europa – 10 gennaio 2022

Abitare la frontiera (confinarla e sconfinarla) > Leggi anche qui
La recensione del volume di Luca Giliberti (Ombre Corte edizioni)
di Vanna D’Ambrosio

Paura della giustizia? Si certo. Quando faccio passare le persone, quando porto i giovani in macchina, so che può succedermi qualcosa. Ma lo faccio comunque. Altrimenti mi sentirei come se avessi accettato la frontiera
(Anne p. 191)

Paesaggio in Val Roja
Nella Val Roya
Le frontiere non sono collocate ai margini dell’Europea, ma “fuori e dentro il suo costrutto politico” 1. Come risultato, entrano, e in più forme, nelle situazioni di tutti i giorni 2: lungo la strada, nelle stazioni dei treni, nei pressi delle abitazioni, ai bar. In altri termini, producendo frontiere si sono prodotte anche maggiori zone di contatto in cui intervengono “gli sforzi della gente comune che portano alla costruzione, allo smantellamento o allo spostamento dei confini”, attraverso distinti momenti di border production e border-transcending practices 3.

Per coloro che vivono su una frontiera, i confini esperiti internamente diventano più reali dei confini dello Stato.

Dal 2015, tra l’Italia e la Francia, migliaia di migranti restano bloccati a Ventimiglia. In quel momento, i territori rurali ed alpini della Val Roja, piccola valle francese al confine con l’Italia, diventano rotta di transito verso il nord dell’Europa.

La valle è formata dai paesi di Breil-sur-Roya, Saorge, Fontan, Briga e Tenda ed abitata, in totale, da circa 6000 persone. E’ una popolazione composta da famiglie native – souche – e da nuclei, che dagli anni ’70 ad oggi (alla ricerca di una vita alternativa, meno frenetica e più naturale), hanno ripopolato la valle ed optato per una migrazione inversa (dalla città alla campagna) in una desiderata dimensione neo-rurale. Comunicano anche un universo culturale diverso e contrapposto alle famiglie native, residenti per lo più in Costa Azzurra, che in valle ritornano in determinate occasioni e ne rivendicano un’identità legata alla provenienza. I souche si definiscono i veri abitanti della valle: “per loro il territorio era loro e noi, gli hippies, eravamo venuti ad occuparlo” (Dominique, p. 74).

Il paese di Saorge, al centro della Valle (Le fotografie pubblicate nell’articolo sono tratte dal libro)
Guadagnando una sorta di visione che accompagna il fare comune, i ‘recampun‘ 4 sono votati al lavoro produttivo della terra, mirando all’autosufficienza, all’autorealizzazione e alla massimizzazione di scelte individuali ed opportunità di auto-sviluppo. I loro percorsi ruotano intorno ad una idea di decrescita e sovranità alimentare legata alle piccole reti coese e solidali di produttori e consumatori locali.

Una scelta di vita, che, per i neo-rurali, si traduce in pratiche di resistenza alle dominanti problematiche 5 e in un obbligo morale di fronte ai continui migranti schiacciati dai camion in autostrada, dai treni nelle gallerie, folgorati sui tetti degli stessi treni, precipitati nei dirupi dei sentieri di montagna e annegati nel fiume Roya o nella necropolitica.

«Abitare le frontiere. Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano» di Luca Giliberti, con la prefazione di Luca Queirolo Palmas, edito da Ombre Corte, 2020 (che fa seguito al documentario Transiti. La valle solidale), è un abitare del luogo dal quale si parla e dal quale si pensa: una borderland, che riporta alla reciprocità fra modo di essere, modo di vivere ed orizzonti di senso.

E’ la testimonianza dei continui processi di confinamento e conferma del confine (reato di solidarietà) ma anche il racconto di pratiche comuni e quotidiane di sconfinamento, verso nuove prospettive di azione e cooperazione (cross border cooperation).

Un’occasione etica che recupera la ricchezza e la processualità delle dimensioni individuali e collettive.

Al campo solidale di Breil-sur-Roya
La rete solidale: i processi di debordering
Sulla frontiera franco-italiana, dal 2015, vengono istituiti i PPA (Points de Passages Autrises) e i non PPA, non dichiarati istituzionalmente sebbene funzionanti. In altri termini, le forze dell’ordine, “militari di molteplici corpi, con armi di tutti i tipi, occhiali con visione notturna, rilevatori di movimento (…) droni, elicotteri” (Philippe, p. 127), sono distribuite in modo capillare nei paesi e si mimetizzano nell’intera valle. Le pratiche generalizzate messe in atto, all’incontro con un migrante in transito, sono o il respingimento o la deportazione express 6.

Per gli abitanti della valle è ordinario incontrare uomini allo stremo lungo la strada o nei pressi delle proprie abitazioni. Le frontiere, anche per loro, diventano strutture ed elementi esperiti direttamente. I confini si manifestano, dunque, in uno spazio con cui ci si relaziona quotidianamente, che si cerca di alleviare ed umanizzare attraverso nuove pratiche e rappresentazioni.

“La funzione primaria dei confini qui è quella di connettere e stabilire una piattaforma di cooperazione e integrazione transfrontaliera attraverso una gamma completa di questioni economiche, culturali, politiche e di sicurezza (trascendenza del confine)” 7.

In effetti, già dallo stesso anno (e in concomitanza alla crisi del sistema d’accoglienza), gli abitanti della valle rafforzavano la propria rete (empowrement dal basso) intergenerazionale (molti sono pensionati) di socializzazione (molti di loro non hanno un percorso di militanza classica) per intervenire in tre ambiti di azione a soccorso dei migranti: distribuzione del cibo e di beni di prima necessità, sostegno al transito, monitoraggio della violenza sulla frontiera.

I “Roya Citoyenne“, in una sorta di federalismo di circostanza, si attivavano per una forma di solidarietà – ombrello – che copriva attori, registri di azione e pratiche eterogenee. Un “borderwork 8” che, in sintesi, non rifletteva la comprensione (degli abitanti) della terra di confine e ne sfidava i suoi processi emergenti.

In cucina al campo solidale (Photo credit: Massimo Cannarella)
“Per noi questa mobilitazione del tunnel è davvero legata alla lotta della frontiera…nel senso di una critica al sistema…vediamo che le merci passano e vogliano che anche le persone passino… per tutti noi questa connessione tre le lotte è davvero chiara, evidente” (Melanie p .121).

In una dimensione di ospitalità diffusa, durante il 2016 e 2017 circa 150 famiglie della valle aprivano le porte a migliaia di transitanti.

Un processo di debordering, può essere definito, difatti, come “il cambiamento funzionale dei confini, la perdita di importanza del loro ancoraggio territoriale e – di conseguenza – il disaccoppiamento dei confini (funzionali) del sistema e dei confini territoriali” 9. La debordazione, in altre parole, si può riferire sia alla trasgressione dei confini territoriali da parte di sistemi funzionali (come “l’economia“) o da parte sistemi simbolici (come le identità transfrontaliere), sottolineando nello stesso tempo, la crescente permeabilità dei confini [territoriali] ed una diminuzione della capacità degli stati di chiudersi 10.

Tribunale di Nizza, striscione per la libertà di circolazione
La solidarietà è un reato: i processi di rebordering
L’ inasprimento dei (nuovi) confini; l’aumento dei controlli e la ri-territorializzazione dello spazio sono processi di riborderazione.

In questa direzione, progressivamente, numerosi militari circondavano le fattorie dei solidali della Val Roya, come quella di Cedric Herrou, un agricoltore biologico il cui terreno (campo di Breil) già dal 2017 e poi, di nuovo, nel 2018 veniva recintato da cinque posti di blocco, intimidendo all’azione sia chi prestava soccorso sia gli immigrati.

Da una parte, la riborderazione delle pratiche di controllo stava creando una mentalità proattiva che spingeva la popolazione a credere di commettere una infrazione; dall’altra, limitava i transitanti, sino a farli scomparire, alla fine del 2017.

Con la sorveglianza ravvicinata, lo stato di eccezione si trasformava in diritto comune. Le norme internazionali punitive contro l’immigrazione venivano incorporate a tutti i livelli dello Stato con risultati differenti. La legislazione nazionale e le ordinanze locali ordivano un intricato dispositivo di trasformazione delle reti solidali. Un ulteriore confine che investiva le attività del soggetto e sconfinava nei suoi spazi intimi, delegando la solidarietà a reato 11.

Sul confine tra Italia e Francia (Photo credit: Massimo Cannarella)
A Ventimiglia, un’ordinanza municipale introdotta nel 2015, revocata a maggio 2016, reintrodotta ad agosto 2016 e revocata ad aprile 2017, proibiva e penalizzava le attività di carattere assistenziale come quella legata alla distribuzione del cibo ai transitanti.

I poteri statali o locali diventano l’avversario dell’attore umanitario, allorché le pratiche, all’interno di posizionamenti che in un primo stadio erano umanitari, venivano messe sotto processo 12.

Così, ad un solidale, che aveva accompagnato dei migranti al campo di Breil per evitare che dormissero in strada, veniva ratificato un processo per favoreggiamento all’immigrazione clandestina, tuttora in attesa di affrontare un controverso appello.“Uno dei processi in corso ad abitanti della valle … nasce da una segnalazione telefonica alla polizia di qualcuno che aveva visto i solidali con dei migranti per uno sterrato di montagna” ( p. 135) .

Il sorgere di principi oppositivi e di leggi punitive al soccorso dei migranti, inaugurando un ennesimo confine tra azione umanitaria ed azione criminale, generava, tra la popolazione della valle, un vero e proprio “dramma sociale”.

Militarizzazione del territorio, posto di blocco permanente a Sospel
Di frontiera in frontiera
Come in teoria, così in Val di Roya, i processi di rebordering sono funzionali a spostare efficacemente aspetti chiave del confine altrove, da un sistema all’altro 13.

Il confinamento delle azioni solidali ha demarcato la frontiera sociale e comportato la designazione di nuovi confini “interni“, confermandosi ed espandendosi.

La presenza dei due universi culturali prendono forma e si costruiscono attorno a un campo di battaglia, uno spazio sociale di contaminazione, declinato sulla situazione locale 14.

Nelle famiglie souche, native, si innesta un girone contrario al sostegno dei migranti, fin quando nel 2017, “A vugi d’a la roya” un giornale di destra, ad aizzare l’odio tra le parti, evocava una diretta connessione tra l’aiuto ai migranti e la popolazione neo-rurale.

Una fase post liminare, nella configurazione del dramma sociale di Turner, in cui nasceva la sfiducia verso l’integrità del gruppo opposto e si legittimava lo scisma tra le parti sociali, con casi di aggressioni alle persone attive nella rete solidale.

Dal campo solidale alla stazione di Breil
Le generalizzate conflittualità tra souche e neo-rurali, che prima si mantenevano in una dimensione di porosità verso i migranti, si riaccendevano in un senso di rottura (di relazioni e di interazioni) con le conseguenti spaccature morali, in una valle in cui frontiera ha generato una ennesima soglia, un limen, una zona di confine, in grado di rimodellare l’intera struttura sociale.

Alla stazione di Breil-sur-Roya
La frontiera entra, e in più forme, nelle situazioni di tutti i giorni e, di conseguenza, aumentano le zone di contatto. Essa si riflette in una valle, in una dimensione domestica e in relazioni di prossimità. Diventa area di incontro, interazione ed integrazione in cui gli attori sociali coinvolti possono influenzare il percorso migratorio. Questo tipo di terra di frontiera non comporta ostacoli alla mobilità delle persone e non compromette l’universalità dei diritti umani. Sono aree di confine spesso descritte come “petites Europes“, dove i processi di cambiamento comuni a tutta l’Europa possono essere visti svolgersi su scala più piccola 15.

O, wonder!
How many goodly creatures are there here^
How beauteous mankind is! O brave new world,
that has such people in’t.
Shakespeare, The tempest, 5.1.

Cfr. D. Newman, On borders and power: A theoretical framework, 2003: “As Newman pointed out, “it is the process of bordering, rather than the border line per se, that has universal significance in the ordering of society”. Cfr. E. Balibar, (1998) The borders of Europe, 1998. Più che sulla natura statica ed ontologica della frontiera, è necessario analizzare questi processi di confinizzazione piuttosto che la linea in se stessa.
Vedi N. Yuval-Davis et al., Bordering, 2019.
C. Brambilla, Exploring the Critical Potential of the Borderscapes Concept, 2015; C. Brambilla, J.Laine, Borderscaping: Imaginations and Practices of Border Making, 2017.
Recampun è una identificazione che i neorurali hanno attribuito a loro stessi. Vengono, invece, definiti dai souche, a seconda della zona, come ”indiens” (indiani) fino all’utilizzo di termini sempre meno politicamente corretti.
“La valle vive in modo intenso alcune problematiche del nostro tempo: lo smantellamento dei servizi pubblici, le ripercussioni delle politiche neoliberali; il rischio di privatizzazioni di beni comuni come l’acqua; l’accorpamento forzato con entità amministrative metropolitane, che espropriano il livello locale del diritto a decidere del proprio futuro e distrugge la specificità di una vita rurale; il cambiamento climatico; il reato di discriminazione razziale alla frontiera, la militarizzazione e la generalizzazione della sorveglianza; la criminalizzazione della solidarietà con i migranti senza documento, mentre le leggi securitarie (antiterrorismo e altro) rendono possibili le derive totalitari” (La marmotte déroutéé)
Vedi J. P. Aris, La paradoja del taxista: Ventimiglia como frontera selectiva. 2018
Cfr. B. Dimitrovova, Re-bordering of Europe: The Case of the European Neighbourhood Policy, 2010
Vedi C. Rumford, Citizens and Borderwork in Europe, 2008; C. Rumford, Theorizing Borders, 2006.
Cfr. Bonacker,Thorsten, Debordering by human rights: The challenge of postterritorial conflicts in world society, 2007.
Cfr. M. Albert, L. Brock, Debordering the world of states: New spaces in international relations, 2000; C. Rumford, Theorizing Borders, 2006
Cfr. L.Albert, Brock. La demarcazione (riborderazione) agisce, prima di tutto, per regolare il processo di trasformazione, non per arrestarlo
La letteratura sociologica sulla solidarietà ai confini sottolinea come le recenti mobilitazioni facciano emergere la pratica e la nozione di diventare illegali all’interno di posizionamenti che in primo stadio erano umanitari, traducendoli nel politico.
Cfr. C. Brambilla, Exploring the Critical Potential of the Borderscapes Concept, 2015. I confini sono costantemente ricomposti di nuovo da diverse entità come corpi, discorsi, pratiche e relazioni, generando così continuamente nuove definizioni di cosa o chi viene incluso ed escluso
Vedi M. Ambrosini, Irregular immigration in Southern Europe. Actors, Dynamics and Governance, 2018. Cfr. A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato e la funzione specchio della migrazione che ha portato l’antropologia delle migrazioni a farsi critica culturale
Cfr. O.Kramsch, B. Hooper, Cross-Border Governance in the European Union. 2004; J. Blatter, From ‘spaces of place’ to ‘spaces of flows’? Territorial and functional governance in cross-border regions in Europe and North America, 2004; S. Svensson, C. Nordlund, The building blocks of a Euroregion: novel metrics to measure cross-border integration, 2015


 

il manifesto – 14 novembre 2020

Memorie sociali dell’attraversamento
di Francesca Maffioli

Percorsi critici. A proposito di due libri recenti, con testimonianze e interviste, firmati da Gabriele Proglio e Luca Giliberti. Da Ventimiglia alla Val Roja, un percorso di letture su confini e frontiere. Indagini sulle pratiche dell’ospitalità, sulle contraddizioni in territori liminali. Esperienze individuali nella storia collettiva degli spostamenti di esseri umani.

L’antropologo francese Michel Agier per riassumere quanto constatato da Zygmunt Bauman in Stranieri alle porte (2016) sceglie questa frase: «I muri sono nelle nostre teste». Il muro della «Fortezza Europa» non dev’essere necessariamente solido, in senso materico, ma può anche assomigliare a quel «sistema di protezione galleggiante», fatto di reti, che il governo greco nei primi mesi del 2020 ha disposto nel mare Egeo.
In Bucare il confine (Mondadori Università, pp. 214, euro 16), Gabriele Proglio non ci dice di questi «muri liquidi», ma di quelli terrestri alla frontiera di Ventimiglia in Liguria. Luca Giliberti invece, in Abitare la frontiera (Ombre corte, pp. 237, euro 18), espone la realtà di confine dei villaggi arrampicati sulle Alpi Marittime, al limitare montuoso che separa l’Italia dalla Francia.
TRATTANDOSI DI ZONE di passaggio potremmo pensare a questi luoghi come a uno sfondo temporaneo, invece sono diventati la cornice spaziale fissa delle storie che i due studiosi scelgono di raccontare. È possibile restituire frammenti di memoria individuale e allo stesso tempo la storia collettiva degli spostamenti di esseri umani? È possibile che la pratica dell’ospitalità individuale (spontanea, etica, senza condizioni) riesca ad affrancarsi da certi modelli di pensiero e rompa quel binomio ambiguo che Jacques Derrida chiamava «l’ostipitalità»? È possibile andare al di là dell’idea di neutralità scientifica?
Le interviste di Proglio si susseguono come una raccolta eterogenea di testimonianze sul modello della storia orale, con un sovrappiù di fertile soggettivazione. I dialoghi con le intervistate e gli intervistati mirano a far emergere che la realtà delle parole di chi sceglie di raccontarsi apre alla scoperta di luoghi in cui si concentrano le storie presenti ma anche le eredità del passato, secondo una geografia multitemporale. Quelle di Giliberti compongono una mappatura del «terrero sociale» del territorio della Val Roja: il «doppio ritorno della frontiera» rinvigorisce quella idea fisica e allo stesso tempo anche il rigurgito di vecchie ostilità tra la popolazione della valle Roja o la nascita di nuove animosità tra autoctoni e neorurali.
Proglio descrive le dinamiche inscritte al Passo della Morte, il sentiero che parte da Grimaldi e arriva in Francia. Negli ultimi due secoli questo passo è stato attraversato da coloro che desideravano raggiungere la Francia in fuga dalle guerre, instabilità politiche e persecuzioni religiose. Questi attraversamenti, spiega Proglio, riferiscono una memoria incarnata che si tramanda negli anni: «Esiste una memoria dei corpi, intesa come movimento cinetico sul territorio, che è stata tramandata dai primi anarchici ai partigiani, dai poveri sotto il fascismo agli ebrei, dai dissidenti politici».
ANCHE GILIBERTI insiste su questa memoria degli attraversamenti, facendo riferimento alle reti solidali e guardando nella storia al di là dell’Europa: «un’infrastruttura di transito si genera, composta da reti territoriali in connessione tra di loro – dalla Valle del Loup, alla Valle del Var o a Marsiglia e a Parigi -, che ricorda l’Underground Railroad degli Stati Uniti nel XIX secolo. Una rete sotterranea di case solidali e approdi sicuri – che permetteva agli schiavi neri in fuga dalle piantagioni di risalire il Continente americano verso il nord fino ad approdare in Canada – si ripropone, trasfigurandosi, oggi in Europa, dove persone e reti dei territori attraversati facilitano il dispiegarsi delle rotte migranti, facendo eco alle azioni degli abolizionisti americani di ieri».
IL RIFERIMENTO all’abolizionismo da parte di Giliberti fa da controcanto al termine «apartheid» che Proglio non lesina a utilizzare per i fatti che descrive. Quando le pratiche discriminatorie si formalizzano infatti, la loro acquisizione in quanto «norma» prende la forma dell’abitudine quotidiana. Parlando di Ventimiglia spiega: «Ci sono aree per i bianchi: il centro, le panchine, i supermercati, le spiagge, il lungomare, i bar, i giardini. E ci sono parti della città per i neri: il campo della Croce Rossa e quello informale in via Tenda, quando esisteva; le sponde del fiume Roja, la spiaggia più vicina alla foce del Roja, dove non ci sono stabilimenti balneari, la Caritas. Poi esistono delle zone di contatto: in esse a determinare l’egemonia, in termini relazionali, è la tipologia di comportamento e, in particolare, la questione della mobilità». L’esclusione e il distanziamento sono radicati a tal punto da diventare invisibili agli occhi di coloro i quali osservano lo spazio che li circonda con lo sguardo cieco dell’abitudine, quella per cui la «linea del colore» maschera forme di abuso che sarebbero considerate insopportabili se subite da persone non razzizzate.
La «linea del colore» è anche il parametro che viene utilizzato per selezionare, lungo la D6204 e la SS20 che attraversano la val Roja, i soggetti che vanno controllati in modo più approfondito ai posti di blocco. Giliberti nel suo studio mette in parallelo la militarizzazione della valle, che si materializza nel 2016, al flusso di persone migranti e all’azione delle reti solidali. Pesa anche le conseguenze di questi controlli sistemici e della generalizzata militarizzazione sulla percezione di chi abita la valle, secondo una cronologia che attraversa la realtà della frontiera prima e dopo Schengen – e ora che il «dispositivo di confine» è imposto in maniera capillare su tutto il territorio.
NELLA RICERCA di Giliberti questa frontiera fisica spalleggia le frontiere sociali che abitano la Val Roja. Negli ultimi decenni la valle è stata caratterizzata da processi di neoruralità alternativa, da mobilitazioni sociali tese a guardare il territorio secondo la costruzione di un soggetto collettivo all’insegna della decrescita, della sostenibilità rurale e di valori solidali. Le teorizzazioni di Serge Latouche, André Gorz, Agnès Sinaï si concretizzano nelle scelte quotidiane secondo posizionamenti anticapitalisti, ecologisti e di decolonizzazione del pensiero – per un cambio di paradigma esistenziale che diviene anche culturale e politico.
Nella Val Roja, esperienze di solidarietà, più o meno mediatizzate, prendono forma sul territorio in un tentativo di dialogo fruttifero con le istituzioni locali oppure nella scelta di pratiche di invisibilità tattica. Proglio, nella descrizione delle esperienze di solidarietà del presidio No Borders dei Balzi Rossi descrive una forma di attivismo che si presta a «bucare il confine».
SECONDO LA SEMANTICA della «bolla» le attiviste e gli attivisti tentano di sospendere dinamiche sociali trite e di creare una sorta di parentesi sospesa: «ma è anche, e forse soprattutto, una condizione di sospensione dell’ordine, della quotidianità, uno spazio di extraterritorialità dalle dinamiche nazionali, transnazionali, globali ed europee. La bolla, poi, ha un significato anche intimo. Perché proprio in quello spazio e in quel tempo, che sono condivisi sebbene sospesi, si creano legami talmente forti da resistere nelle memorie di tanti, a distanza di anni».
I legami, la resistenza della memoria personale, la condivisione delle esperienze inscrivono nei metodi di ricerca il ricorso alla sapienza del partire da sé. Proglio e Giliberti riescono a sottrarre le proprie ricerche a una delle antinomie proprie del simbolo dominante, cioè quella tra soggettivo e oggettivo – scardinando l’illusoria presunzione del punto di vista scientifico solo in quanto oggettivo. Il loro posizionamento diventa la misura sistematica dello sguardo da cui osservare il reale che indagano.
Proglio insiste sul valore degli incontri, facendo allusione all’«intersoggettività» come «il luogo liminale e di intersezione tra le soggettività da cui è nata la storia orale di questo confine». Giliberti, allontanandosi da un impianto di ricerca di stampo positivista, ricorre al concetto di «autoetnografia», definendo la sua ricerca «pubblica», «partigiana» e «situata».
La non neutralità dell’operazione storiografica si accompagna alla funzione politica della ricerca, per cui la rivendicazione da parte di entrambi di un respiro situato e di un posizionamento attivista rafforza la scientificità del lavoro di ricerca.


 

la Repubblica – 13 ottobre 2020

I migranti e i neorurali della Val Roja, un libro racconta la frontiera solidale
di Massimiliano Salvo

È lo studio di una valle di frontiera tra Italia e Francia, la Val Roja, che durante l’emergenza migratoria si è trovata con la comunità di abitanti divisa. Da una parte chi ospitava i migranti trovati in cammino lungo la strada, chi li sfamava nelle proprie abitazioni, chi li aiutava ad arrivare al confine. Dall’altra chi vedeva nei migranti il nemico, e così pure i compaesani che avevano deciso di dar loro una mano. ll libro “Abitare la frontiera. Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano” di Luca Giliberti (Ombre corte) sarà presentato mercoledì alle 20.30 nell’Aut Aut 357, lo spazio sociale occupato in locali dell’Università di Genova in via delle Fontane.
L’autore, antropologo di 38 anni, assegnista di ricerca in Sociologia nel Laboratorio di sociologia visuale del Dipartimento di Scienza della Formazione (Disfor) è uno studioso dei processi migratori transnazionali, delle frontiere e delle reti di solidarietà ai migranti in transito. E proprio per questo al centro delle sue ricerche è finita la Val Roja, che con la chiusura di diverse frontiere interne all’Europa dal 2015 si è ritrovata al centro di una inedita rotta migratoria diretta verso il nord Europa. Da quel momento migliaia di migranti sono restati bloccati a Ventimiglia e – nel tentativo di varcare comunque la frontiera – si sono ritrovati ad attraversare territori rurali e alpini.
«In quel periodo tra il 2016 e il 2017 parte importante della popolazione della Val Roja si è mobilitata offrendo ospitalità e supporto ai migranti», spiega Luca Giliberti. «Si tratta dei cosiddetti “neorurali”, ovvero gli abitanti che dalla fine degli anni Settanta a oggi hanno scelto di vivere in Val Roja alla ricerca di uno stile di vita all’insegna della decrescita, della sostenibilità rurale e di valori solidali. Le famiglie native della zona, più conservatrici, si sono invece opposte all’azione solidale».
Tra gli abitanti non si sono esacerbate solamente le antipatie tra chi in politica la pensa in modo opposto: chi era contrario alla presenza dei migranti nella valle, e ovviamente alla solidarietà nei loro confronti, è passato alle denunce contro chi li aiutava. A finire nel mirino sono stati i tanti piccoli gruppi spontanei della valle che si sono mossi a supporto di “Roya citoyenne”, l’associazione che fa capo al contadino francese Cedric Herrou, finito a processo per aver aiutato 200 migranti a passare la frontiera, ma poi assolto grazie al “principio di fraternità” sancito come diritto costituzionale francese.
Alla presentazione di mercoledì parteciperà anche il sociologo Federico Rahola dell’Università di Genova, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi. «Ventimiglia è stato un luogo sotto il riflettori. La Val Roja il retroscena di uno spettacolo di confine che sovverte uno dei luoghi comuni legati ai luoghi di frontiera, dove sembra che la popolazione lamenti abbandono e insicurezza», spiega il professore Rahola. «E invece in Val Roja gli episodi solidali sono stati diffusi, così come in Val Susa in Piemonte. Questi luoghi sono stati militarizzati eppure gli abitanti hanno aiutato in molti casi i migranti. Forse perché alla fine sono abitanti di frontiera: e sanno bene quanto una frontiera sia una natura zona di attraversamento».

UN ASSAGGIO

Prefazione
Per un altro spettacolo di confine
di Luca Queirolo Palmas

Abitare la frontiera non è una etnografia sui migranti in transito. Al contrario, ispirandosi all’importanza di uno sguardo rovesciato, suggerita da Abdelmalek Sayad, la ricerca si concentra sull’effetto specchio della migrazione; e quindi esplora “noi”, piuttosto che “loro”. Esplora, ovvero, come gli abitanti di una valle periferica e marginale, siano all’improvviso divenuti centrali nello spettacolo del confine. Non diversamente da Lampedusa e come Calais, Lesbo, Ceuta e Melilla.
La ricerca non incontra e non racconta le biografie di chi è in viaggio dentro le borderlands europee, ma suscita e mette in circolo la parola di guide di montagna, contadini, farmacisti, disoccupati, pittori, docenti e pensionati che popolano la Val Roja e la fabbricano quotidianamente attraverso i propri posizionamenti e rivendicazioni. Non si guarda da questo “noi” alle migrazioni, al contrario questo “noi” viene fatto parlare e viene studiato nel momento in cui è rivelato dall’impatto di una mobilità che attraversa il territorio.
Per ritornare ai classici della sociologia, come il lavoro di Elias e Watson nella comunità di Winston Parva – “The Established and the Outsiders” – questo libro potrebbe anche apparire come uno studio di comunità, a patto di liberarsi da ogni visione omogenea, insulare e irenica della comunità. Abitare la valle, al confine tra due Stati europei, significa al tempo stesso essere attraversati da – e posizionati su – una frontiera sociale e culturale, conflittuale, punteggiata di diversi luoghi di incontro, stili di vita, scelte di consumo. Tale frontiera mobile si produce e riproduce dagli anni Settanta e oggi si ravviva e intensifica sull’emergenza della questione migratoria. È l’immersione in questa storia passata che permette alla ricerca di capire il presente.
L’autore ci accompagna così nei mondi culturali dei neorurali e delle famiglie native – i cosiddetti “souche” –, delle comuni “hippies” e delle feste di paese, della caccia e dell’agricoltura biologica, osservando da un lato i vuoti generati da esodi decennali verso le città e dall’abbandono progressivo della campagna e della montagna e dall’altro l’effervescenza sociale, politica e culturale portata dai movimenti neorurali. Se i primi rivendicano a sé il privilegio dell’essere del posto “da sempre” anche se spesso in valle non abitano più pur mantenendo la proprietà e il voto, i secondi a distanza di quarant’anni dai primi arrivi devono ancora lottare per essere riconosciuti come abitanti a pieno titolo. E lo fanno, soprattutto, grazie alla cultura politica urbana a cui sono stati socializzati, dando vita a mobilitazioni per difendere i beni pubblici della valle: la scuola, la posta, il treno, la salute, la natura. Lotte di cittadinanza su cui costruiscono progressivamente il riconoscimento e il valore della loro presenza, riuscendo in qualche modo ad accorciare la distanza e aumentando la porosità e le relazioni con chi continua a ritenersi il depositario principale della storia, e del futuro, del luogo.
È sul tema del rapporto con la migrazione in transito che entrerà in stallo questo movimento di avvicinamento; le relazioni torneranno a polarizzarsi, generando un “dramma” di comunità. Il dramma è rappresentato appunto da una straordinaria rete di solidarietà informale che i neorurali organizzano su tutta la valle, paese per paese, frazione per frazione, sino a raggiungere il lato italiano e connettendosi con altre valli e altre montagne anche esse territori di passaggio.