pp. 237
Anno 202o (gennaio)
ISBN 9788869480522
20,00 €
Edusrdo Viveiros de Castro
Metafisiche cannibali
Elementi di antropologia post-strutturale
Prefazione di Mario Galzigna - Postfazione di Roberto Beneduce
La prospettiva tracciata da Viveiros de Castro, i cui contributi sono da anni al centro del rinnovamento concettuale dell’antropologia, si fonda su un’opzione antinarcisistica, capace di infrangere la sovranità del soggetto analizzante (l’antropologo) e il suo presunto primato sull’oggetto analizzato (le società amerindiane). Non è un caso, infatti, che Metafisiche cannibali sia concepito come la presentazione di un altro suo libro, ancora non scritto, intitolato L’anti-Narciso, tutto giocato proprio su questa rottura della relazione dicotomica tra soggetto e oggetto, laddove l’altro, tradizionalmente considerato oggetto dell’indagine, diviene invece fonte preziosa di concettualizzazioni, di epistemologie, di punti di vista indispensabili alla sua (e alla nostra) comprensione. Di qui la domanda-chiave, che orienta tutta la ricerca: qual è il debito concettuale dell’antropologia nei confronti dei popoli che studia? Rispondere a questa domanda, pensare l’antropologia come esercizio di infinita traduzione e di “equivocità controllata”, significa partire da un assunto fondamentale: le concezioni e le pratiche che caratterizzano la ricerca antropologica provengono sia dai mondi del “soggetto” sia dai mondi dell’“oggetto”, affermandosi tra i due una “alleanza sempre equivoca ma spesso feconda”, capace di spiazzare ogni approccio di tipo dualistico.
Questo radicale spostamento di prospettiva – sostenuto da una feconda ibridazione che collega l’antropologia strutturale di Lévi-Strauss alla filosofia “rizomatica” di Deleuze e Guattari – definisce la nuova missione dell’antropologia: quella di essere “una teoria-pratica di una decolonizzazione permanente del pensiero”, che restituisce al sapere dell’Altro il posto a lungo negatogli nell’orizzonte della conoscenza. È a partire da questa impostazione che nasce una originalissima rilettura dello strutturalismo, della “semiofagia” e delle popolazioni amerindiane, o dello sciamanesimo come attraversamento delle barriere ontologiche.
Eduardo Viveiros de Castro è professore di antropologia al Museo Nazionale di Rio de Janeiro, dopo aver insegnato a Cambridge, Chicago e Parigi. Il suo lavoro sul multinaturalismo o prospettivismo amerindiano e sull’ontologia della predazione ne ha fatto un maestro dell’antropologia contemporanea. Autore di numerosi lavori tradotti in varie lingue, nella nostra è recentemente apparso Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine (scritto con Deborah Danowski) e per i nostri tipi, L'intempestivo, ancora Pierre Clastres di fronte allo Stato (2021).
Edusrdo Viveiros de Castro
Metafisiche cannibali
Elementi di antropologia post-strutturale
Prefazione di Mario Galzigna - Postfazione di Roberto Beneduce
La prospettiva tracciata da Viveiros de Castro, i cui contributi sono da anni al centro del rinnovamento concettuale dell’antropologia, si fonda su un’opzione antinarcisistica, capace di infrangere la sovranità del soggetto analizzante (l’antropologo) e il suo presunto primato sull’oggetto analizzato (le società amerindiane). Non è un caso, infatti, che Metafisiche cannibali sia concepito come la presentazione di un altro suo libro, ancora non scritto, intitolato L’anti-Narciso, tutto giocato proprio su questa rottura della relazione dicotomica tra soggetto e oggetto, laddove l’altro, tradizionalmente considerato oggetto dell’indagine, diviene invece fonte preziosa di concettualizzazioni, di epistemologie, di punti di vista indispensabili alla sua (e alla nostra) comprensione. Di qui la domanda-chiave, che orienta tutta la ricerca: qual è il debito concettuale dell’antropologia nei confronti dei popoli che studia? Rispondere a questa domanda, pensare l’antropologia come esercizio di infinita traduzione e di “equivocità controllata”, significa partire da un assunto fondamentale: le concezioni e le pratiche che caratterizzano la ricerca antropologica provengono sia dai mondi del “soggetto” sia dai mondi dell’“oggetto”, affermandosi tra i due una “alleanza sempre equivoca ma spesso feconda”, capace di spiazzare ogni approccio di tipo dualistico.
Questo radicale spostamento di prospettiva – sostenuto da una feconda ibridazione che collega l’antropologia strutturale di Lévi-Strauss alla filosofia “rizomatica” di Deleuze e Guattari – definisce la nuova missione dell’antropologia: quella di essere “una teoria-pratica di una decolonizzazione permanente del pensiero”, che restituisce al sapere dell’Altro il posto a lungo negatogli nell’orizzonte della conoscenza. È a partire da questa impostazione che nasce una originalissima rilettura dello strutturalismo, della “semiofagia” e delle popolazioni amerindiane, o dello sciamanesimo come attraversamento delle barriere ontologiche.
Eduardo Viveiros de Castro è professore di antropologia al Museo Nazionale di Rio de Janeiro, dopo aver insegnato a Cambridge, Chicago e Parigi. Il suo lavoro sul multinaturalismo o prospettivismo amerindiano e sull’ontologia della predazione ne ha fatto un maestro dell’antropologia contemporanea. Autore di numerosi lavori tradotti in varie lingue, nella nostra è recentemente apparso Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine (scritto con Deborah Danowski) e per i nostri tipi, L'intempestivo, ancora Pierre Clastres di fronte allo Stato (2021).